Camminavamo indisturbati per le strade del quartiere San Lorenzo a Roma. Erano le dieci di sera. Faceva molto caldo. Io portavo una maglietta a maniche corte e mio fratello un giubbino di stoffa estivo. Stavamo chiacchierando del più e del meno, stavamo parlando di nostro padre e del suo intervento all'orecchio. C'era un aria afosa. Tanté che toccando la fronte sentivi quel calore che si tramutava in un sudore fastidioso misto a gel. Ci trovavamo davanti da Ferrazza un noto wine bar del quartiere. La gente era tanta, perlopiù ragazzi intorno ai venti e trent'anni. L'atmosfera sembrava quella del bronx, le pareti dei palazzi popolari erano contornati da graffiti, scritte e firme di tutti i generi, ma la cosa che più mi colpì erano le scritte contro il Duce, del tipo: "Abbasso il Duce", oppure, "Duce merda", "Viva l'Anarchia"... e quant'altro fosse legato ad un ideologia antifascista, sinistroide e molto reazionaria pro centri sociali.
Un quartiere di studenti universitari, poiché a meno di un chilometro da lì vi era la nota Università de la Sapienza. Studenti vestiti in gran parte come punk. Molti ragazzi punk. In giro con carelli della spesa, modificati come porta valigie, dove invece della valigia, ci mettevano il loro cane. A proposito dei cani. Nessuno portava un cane dolce e indifeso, erano tutti della razza dei molossi perlopiù Pitbull che quando gli ci passavi a fianco ti annusavano il polpaccio, leccandosi il muso. Insomma noi eravamo in mezzo a quel colore punk e variopinto di gente "strana" che era accogliente ed affabile. Eravamo lì e parlavamo di nostro padre, quando ad un tratto si avvicina un ragazzo intorno ai diciannove anni. Puzzava di birra, quella birra che si beve a buon mercato, la cui gradazione alcolica non supera i 3% o 4%... Si avvicinò per chiederci qualcosa, noi pronti a capire la sua intenzione, attendemmo la sua domanda: "Scusa amico? Che per caso hai una sigaretta?". Io risposi: "No mi dispiace non fumo!". Lui: "ah...". Poi fece uno sguardo di assenso a mio fratello come per dire "e tu ce l'hai" e mio fratello rispose: "No". Il ragazzo che aveva una maglietta dei Kiss, noto gruppo metallaro, si girò per andarsene e sulla sua gracile spalla, aveva un topo, ma un topo che per i topofobici sarebbe stato panico assoluto. Un grande topo di fogna, grosso quanto un pompelmo, ove la sua fina e striata coda appuntita dondolava come una bandiera al vento sul petto del ragazzo. Era addestrato.
La serata si ravvivò, nonostante la nostra profonda preoccupazione per nostro padre che doveva subire un intervento per un evidente problema all'orecchio. Tornammo così nella nostra fatiscente stanza e iniziammo a ridere, ricordando quell'attimo. Non potevamo non dargli un nomignolo a quell'artista, perché infondo si trattava di un artista. Chi mai avrebbe avuto l'idea di portare con se un topo sulla spalla? Addestrato anche? Solo un uomo che non ci sta con la testa, oppure ci sta... e se veramente ci sta, beh a quel punto è davvero un artista. Il nome gli fu dato, quel nome fu: TOPO BOY!
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