Passa ai contenuti principali

Il viaggio: fonte d'ispirazione per scrittori e poeti

Il viaggio è la costante d'ispirazione per qualsiasi artista. Lo si può definire uno stimolo forte che serve a raccontare un'esperienza vissuta sulla propria pelle. Il viaggio come archetipo. Basti citare Dante Alighieri che nonostante vagasse nell'immaginazione assoluta dei tre emisferi ultraterreni, riconobbe l'aspetto dell'esodo, ovvero, dell'escursione come scoperta della verità.
Anche Shakespeare stimolato dalle notizie di naufraghi e lupi di mare alle Bermude ( vedi La Tempesta ) ; Melville in Moby Dick con la ricerca dell'infinito; Il Cammino di Santiago di Paulo Coelho in cui sono esplicite le tracce del tema del viaggio come riscoperta del proprio io, infatti a detta dell'autore brasiliano: «il bello di fare un viaggio, non è la meta, bensì il percorso che si fa per raggiungerla». Un diverso modo di concepire il viaggio, non come semplice pellegrino che viaggia senza meta e senza essere attento alle piccole cose, ma come "pellegrino appassionato"; colui che viaggia e scopre cose mai viste con lo scopo di arricchire la sua immaginazione o i suoi racconti, in modo da trasferire il suo io in china e tracciare un iter grammaticale della sua personale esperienza.
Utile è stato anche il viaggio a fini di studio e ricerca, basti pensare a Charles Darwin che partiva per isole e territori ostili per osservare da gran ricercatore lo studio degli esseri viventi, ricerche alla base della sua teoria evoluzionistica. Un vero esercizio empirico che accosta la "vista" come senso primario e la "memoria" come contenitore delle giornate trascorse. Un flusso che accende l'ispirazione e diventa mezzo di lavoro per chi deve scrivere e raccontare. Non possiamo non citare Pablo Neruda che nel periodo dell'esilio si rifugiò a Capri, dove questa personale esperienza dello scrittore ne è valsa anche come rappresentazione cinematografica nel capolavoro di Michael Radford, Il Postino, con l'indimenticabile Massimo Troisi.

Commenti

Post popolari in questo blog

La Furia di un Uomo, la recensione

Jason Statham ha già collaborato con il regista Guy Ritchie, era nel cast di Lock, Stock and Two Smoking Barrels (1998), film rivelazione per entrambi. Ne La Furia di un Uomo (2021), su Prime Video dal 27 dicembre 2021, Ritchie dirige di nuovo Statham che veste i panni di "H", un ibrido tra un John McClane e un Bryan Mils di Io vi Troverò e che dispensa battute ermetiche e ossa rotte in quantità uguali. Detta così pare si tratti di un b-movie qualsiasi, ma, fortunatamente, non lo è. Guy Ritchie è un regista abile nel ricomporre sceneggiature lineari attraverso il montaggio disorganico e le riprese poliedriche. Alcuni suoi lavori sono azzeccati (gli Sherlock Holmes , The Gentlemen , Snatch ), altri un po' meno ( King Arthur , Aladdin e il remake/floppone Swept-Away ). Con La Furia di un Uomo Guy Ritchie, invece, si è mantenuto in bilico, raggiungendo un equilibrio tra action tradizionale e heist movie . La Furia di un Uomo, da quello che si legge in giro, è un remake...

Ferrari. La recensione

Non c'è bisogno di essere dei cinefili per accorgersi che Ferrari [2023] non sembra un film girato da Michael Mann, ma è firmato dal maestro Michael Mann. Sì, proprio lui, il regista di Heat - La sfida, di Collateral, dell'epico L'Ultimo dei Mohicani. Se è un film riuscito? No, anche se non mancano momenti di una certa suspense, specie nelle scene delle gare automobilistiche, nelle quali si riescono a percepire quelle inquadrature annesse all'abitacolo da lato cofano, dallo specchietto laterale o da lato bagagliaio, che tanto ricordano gli indrappelli della Ferrari Daytona Spyder 365 GTS/4 in Miami Vice - La serie, guidata da Sonny Crockett (Don Johnson). Non si può tantomeno definirlo un biopic, poiché non racconta l'intera vita di Enzo Ferrari (un Adam Driver rattrappito sia nei movimenti, sia nella recitazione), ma s'incentra nell'anno 1957. Si dice che raccontare la vita privata degli idoli sia deleterio, perché renderebbe l'idolo un semplice mortal...

Chi segna vince: quando la sconfitta insegna a vincere

La squadra di calcio delle Samoa americane divenne celebre per una clamorosa sconfitta: aver incassato, nel 2001, ben trentuno goal contro l'Australia, nell'incontro che si tenne a Coffs Harbour; un risultato oltre il tennistico, tanto da diventare un riconoscimento da Guinness dei primati. Ovvio è che un risultato simile annichilisca squadra, allenatore e società. Infatti, per una decina d'anni la squadra delle Samoa subì un vero e proprio blocco evolutivo e fu così che decisero di ingaggiare un allenatore olandese: il mr. Thomas Rongen [persona sui generis col "vizio della bottiglia" e con un temperamento irascibile sfociante in noti scatti d'ira]; l'obiettivo del coach Rongen doveva essere di far segnare almeno un goal alle Samoa, che era già un traguardo ancora più arduo, che vincere di netto una partita. Taika Waititi, premio Oscar per Jojo Rabbit (2019) dirige Chi segna vince  (2023) un film nostalgico sulla terra che gli ha dato i natali, attraverso...