Il sud è sempre stato sinonimo di “arretratezza”. Le risorse nel Mezzogiorno ci sono state e ci sono tuttora. Proviamo rammarico nel sapere che la grandissima parte dei laureati scappa via al nord, ma non solo anche all’estero per affinare la propria esperienza ed aprirsi un futuro. Giovani che studiano; che hanno speso parte del loro tempo allo studio, per potersi garantire un futuro migliore, affrontandone le difficoltà economiche e sociali che hanno le loro famiglie. Perché fuggono via verso mete lontane? È logico, si tratta di andare dove c’è un tenore di vita più alto e dove il prodotto interno lordo è più alto. Nel Centro Europa c’è il cuore pulsante dell’economia funzionante; c’è il dinamismo finanziario delle banche, che permette a molti imprenditori in condizioni di partenza, quindi alle prime armi, di concedere prestiti ed avviarsi alla carriera; in Italia una cosa del genere, allo stato attuale, è impossibile. La recessione del 2009 ha colpito tutte le nazioni d’Europa, ma quelle che ne hanno risentito di più sono state l’Irlanda e l’Italia. Secondo i dati riportati dal Sole 24ore ai primi di Gennaio 2009 dicevano che il PIL sarebbe stato del -2%, ma dalle ultimissime stime dell’Ue di Settembre siamo già a quota -5%. Un dato sconcertante. Questo significa, come disse il commissario Ue agli affari economici e monetari Joaquin Almunia, un economia debole continuerà a dare conseguenze sull’occupazione e sulle finanze pubbliche. L’Italia però sappiamo bene che è divisa in due, il Nord e il Sud, divisi da sempre da un divario economico insanabile, dovuto ad una differenza di sviluppo. Su questo dilemma della divisione in due dell’Italia vi sono a monte due motivi: uno di ordine geografico ed uno di ordine storico. Il primo motivo è che regioni come la Lombardia, il Piemonte, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia confinano con Francia, Svizzera e Austria. La vicinanza alla ruhr tedesca significa approdi e rapporti economici più veloci con paesi industrializzati (Lussemburgo, Germania, Francia, Belgio ed Olanda). Per una impresa del meridione raggiungere un mercato a quelle distanze, è oneroso. È pur vero che oggi con il mezzo Internet riusciamo sia letteralmente che praticamente ad allacciare rapporti; quindi ordinare prodotti, scoprire nuove tecnologie già testate nei loro paesi e comprarle per utilizzarle nel nostro mercato. Questo il Nord lo fa da molto tempo ed è avvantaggiato proprio da una questione geografica. L’altro aspetto è di natura storica. Bisognerebbe partire dal 1861; ricordando che il Regno delle Due Sicilie cadde nel 21 Marzo del 1861, ma già prima nel 21 Ottobre 1860 in seguito ad un plebiscito venne annesso al Regno di Sardegna; molti anni prima i bilanci del Regno del Sud erano all’attivo. Molte manifatture del Regno decaddero poiché non erano protette dai dazi del Sud; l’industria del baco della seta, l’industria cantieristica navale erano le risorse del nostro antico Sud, dilapidate poi dai Savoia per sanare i loro debiti. Da qui è iniziato un divario di PIL, tra Nord e Sud che era di appena l’8% nel 1861. Una spaccatura che è cresciuta sempre di più nei secoli successivi. Oggi la meglio gioventù lascia il Sud e continua l’esodo indisturbato verso il Nord. Lo ha rilevato il “Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2009″, presentato il 16 Luglio 2009 da Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) a Palazzo Alteri, presso la sede dell’Abi. Ecco perché si verifica l’aumento del fenomeno del Brain Drain, che in lingua italiana ha assunto il significato di: “fuga di cervelli”. Fuga verso città e nazioni che permettano al giovane laureato di lavorare, senza che gli venga preclusa alcuna possibilità d’inserirsi nel mondo del lavoro. Un fenomeno di emigrazione verso paesi stranieri sviluppati, da parte di persone talentuose o specializzate in campi importanti come quello, ad esempio, della ricerca scientifica o della cooperazione internazionale. Prossimamente un giovane ricercatore italiano riceverà un importante riconoscimento negli Stati Uniti, istituito nel 1996. Lui è Gianluigi Ciovati che si è formato giovanissimo all’Università degli Studi di Milano. Negli anni successivi come altri suoi colleghi, e partito negli United States. È tra i 99 ricercatori che hanno ricevuto il Presidential Young Investigators Awards, direttamente dalle mani del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. A detta dello stesso Ciovati, l’Italia è un paese che sa formare gli studenti, ma continuano a mancare i fondi sufficienti per sviluppare nuovi progetti di ricerca in campi ad alte tecnologie, dove i costi, sia per l’allestimento dei laboratori, sia per attrarre personale qualificato sono elevati.
Nel sistema italiano c’è un evidente blocco dovuto a fattori contrattuali ed economici che la crisi ha creato, ma anche da una mancata propensione a concepire chi è meritevole o meno. Questo aspetto crea le cosiddette “segnalazioni”, popolarmente chiamate: raccomandazioni. Questa pratica è largamente diffusa in Italia. Oggi, ma anche nei decenni precedenti, la raccomandazione ha costituito di norma la sola possibilità per entrare nei ranghi più elevati della funzione pubblica. Questo crea una rete di “raccomandatori” e “raccomandati”; in tal modo viene meno la meritocrazia e l’efficienza che devono essere alla base delle assunzioni e della gestione. Forse le ultime parole rincuoranti arrivano dal Presidente della Banca Centrale Europea, in una intervista sul Corriere della Sera, Claude Trichet. «Penso che il potenziale dell’Italia sia considerevole. E questo suggerisce che la sua crescita potenziale dovrebbe essere più elevata negli ultimi anni» dichiara Trichet e poi suggerisce un monitoraggio sui costi per unità di prodotto e sul progresso della produttività quando si aumentano i salari; conclude: «l’Italia ha un potenziale considerevole di risorse umane e uno spirito imprenditoriale quasi unico nell’area dell’euro». Si spererebbe in un Sud migliore e in una Italia migliore solo se la mentalità degli italiani cambiasse. « Abbiamo fatto l'Italia. Ora si tratta di fare gli Italiani ». Onore a Massimo d’Azeglio.
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