Lasciamo la gioiosa atmosfera di «Non bussare alla mia porta» e concentriamoci sul suo ultimo lavoro. Palermo Shooting. Una voragine di tristezza e monotonia si prende gioco di un fotografo di nome Finn, interpretato dall'attore e cantante Campino. Indaffarato in Germania a lavorare sulle sue foto e sul design, finisce egli stesso per diventare schiavo dello stile e dei cambiamenti veloci che la tecnologia impone. Si perde il significato di superficie (realtà) come viene descritto all'inizio del film, quando una ragazza durante una lezione chiede al protagonista cosa si nasconde aldilà della superficie delle sue foto ed egli risponde: «niente. È la superficie stessa». È proprio questo che il protagonista vuole trovare, il significato che c'è nel reale. Benché Wenders si perde dopo ben 41 minuti di film, non riesce a spiegarlo bene, lo esautora con troppi esercizi di stile che toccano la maniacalità degli oggetti, portandoli ad "ingigantirli" più del soggetto per farci capire che ciò che ci circonda è quello che veramente ci regola, ci domina. Un uomo in una crisi esistenziale che sente di essere perseguitato dalla Morte, che nel film ha le fattezze del grande Dennis Hopper in abiti bianchi e viso bianco. Perciò il fotografo (alias Wenders) parte per una meta sconosciuta, Palermo, con il suo centro storico brullo da ogni cambiamento moderno, quindi anti-moderno, l'opposto della metallica e glamourous atmosfera di Düsseldorf. C'è noia e sofferenza volutamente rappresentata da Wenders, che calca forse un po' troppo la mano, dando vita più che a un film con le sue regole base, ad un mix di prolisso surrealismo. Lascia le atmosfere country e ludiche, di quella bellissima favola che è Non bussare alla mia porta, e trasporta a Palermo una storia brutta dove vorrebbe parlare del rapporto tra la morte e la fotografia che è invece l'opposto di essa poiché ne immortala i momenti, quelli che Dennis Hopper vorrebbe a tutti i costi togliere al protagonista; ma finisce per fare un film troppo surreale in un clima caldo come quello di Palermo che si presterebbe a scenari con significati più veritieri!
Lasciamo la gioiosa atmosfera di «Non bussare alla mia porta» e concentriamoci sul suo ultimo lavoro. Palermo Shooting. Una voragine di tristezza e monotonia si prende gioco di un fotografo di nome Finn, interpretato dall'attore e cantante Campino. Indaffarato in Germania a lavorare sulle sue foto e sul design, finisce egli stesso per diventare schiavo dello stile e dei cambiamenti veloci che la tecnologia impone. Si perde il significato di superficie (realtà) come viene descritto all'inizio del film, quando una ragazza durante una lezione chiede al protagonista cosa si nasconde aldilà della superficie delle sue foto ed egli risponde: «niente. È la superficie stessa». È proprio questo che il protagonista vuole trovare, il significato che c'è nel reale. Benché Wenders si perde dopo ben 41 minuti di film, non riesce a spiegarlo bene, lo esautora con troppi esercizi di stile che toccano la maniacalità degli oggetti, portandoli ad "ingigantirli" più del soggetto per farci capire che ciò che ci circonda è quello che veramente ci regola, ci domina. Un uomo in una crisi esistenziale che sente di essere perseguitato dalla Morte, che nel film ha le fattezze del grande Dennis Hopper in abiti bianchi e viso bianco. Perciò il fotografo (alias Wenders) parte per una meta sconosciuta, Palermo, con il suo centro storico brullo da ogni cambiamento moderno, quindi anti-moderno, l'opposto della metallica e glamourous atmosfera di Düsseldorf. C'è noia e sofferenza volutamente rappresentata da Wenders, che calca forse un po' troppo la mano, dando vita più che a un film con le sue regole base, ad un mix di prolisso surrealismo. Lascia le atmosfere country e ludiche, di quella bellissima favola che è Non bussare alla mia porta, e trasporta a Palermo una storia brutta dove vorrebbe parlare del rapporto tra la morte e la fotografia che è invece l'opposto di essa poiché ne immortala i momenti, quelli che Dennis Hopper vorrebbe a tutti i costi togliere al protagonista; ma finisce per fare un film troppo surreale in un clima caldo come quello di Palermo che si presterebbe a scenari con significati più veritieri!
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