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MACHETE: IL B-MOVIE CHE TAGLIA DI BRUTTO

Lo stridore e lo scintillio delle lame. Il sangue e la violenza, insieme al sesso e alle femme fatale. Robert Rodriguez fidel amico di Quentin Tarantino porta sugli schermi la sua leggenda pulp: Machete. Un eroe buono all’apparenza; un agente federale che opera nel New Mexico, che non rispetta la regola che tutti i federali seguono, cioè: eseguire gli ordini. Poco propenso alle parole, fa rispettare la legge con il suo Machete (un enorme coltellaccio per uso agricolo). Una trovata quella del regista quasi antropologica, grezza e primordiale. Bravissimo Danny Trejo non solo per l’interpretazione, ma per la sua espressività facciale. Un viso pieno di cicatrici, capelli neri lunghi e pelle così grassa da far rabbrividire la più “cattiva” comparsa di un film western di Sergio Leone. Un sorta di continuazione di Planet Terror, seconda parte dell’antologia del Grindhouse, progetto tutto tarantiniano, films di genere che si ispiravano al Blaxploitation anni ’70. La surreale scalata di un agente federale che vede morire la sua donna sotto i suoi occhi e che comincia a non vederci più dalla vendetta. Nel cast ci sono volti noti del b-movie americano, da Dan Johnson, Jeff Fahey e Cheech Marin a Steven Seagal; non mancano i volti delle più belle donne del cinema americano come Michelle Rodriguez, vista nella serie tv Lost e in Avatar, Jessica Alba, che ha recitato sempre per Rodriguez in Sin City e la new entry bad girl Lindsay Lohan. Un enorme polpettone pulp che trasuda cattolicesimo fervente ed integralista, onnipresente nelle pellicole del regista messicano, e che si mescola con pallottole e lame che trafiggono corpi, in un’atmosfera dove nessuno è buono, figuriamoci i politici. Trejo viene venduto da Torrez (Steven Seagal), boss del narcotraffico protetto dal Senatore McLaughin (Robert De Niro). Sarà proprio quest’ultimo a promuovere una politica di repressione dei clandestini messicani al confine degli Stati Uniti, per poter far sì che la sua campagna elettorale vada al meglio. Una critica sincera del regista ad una piaga reale, quella della mattanza al confine, dove la polizia spara ai messicani. Certo Rodriguez non ce la fa leggere in chiave intellettuale, ma la spettacolarizza con l’eroismo povero e con una buona dose di pulp, sempre coerente al suo modo di fare cinema.

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