Chi lo ha detto che gli attori debbano recitare in carne e ossa? Motion capture o performance capture vuole essere una marcia in più al progresso dell’immagine. Questa tecnica è la “cattura del movimento”.
Il cinema se ne serve da parecchi anni, (anche l’industria dei videogame e la ricerca scientifica) basti ricordare la saga de Il Signore degli Anelli, dove c’era un protagonista creato interamente con questa tecnica, Gollum, interpretato dall’attore inglese Anthony Serkis, che dal dietro le quinte, recitava con tanto di cuffia e sensori facciali, in totale solitudine. E se Peter Jackson ci aveva visto bene dal 2001, negli anni a venire, altri cineasti hanno dato sfogo a questo straordinario mezzo di riproduzione. Robert Zemeckis, ad esempio, lo ha fatto nei suoi Polar Express, A Christmas Carol e La leggenda di Beowulf. Quest’ultimo, forse il più riuscito in assoluto, nel quale Zemeckis ha ricreato una leggenda vichinga, catturando la mimica di due star hollywoodiane come Anthony Hopkins e Angelina Jolie. Una scelta non facile, nel cinema, servirsi solo del virtuale, perché i più tradizionalisti potrebbero storcere il naso, ma bisogna accettare anche un cambio di frontiera della tecnologia visiva, oggi sempre più vicina al videogame. Nei mesi scorsi, in uscita nelle sale, Milo su Marte, film d’animazione, dove questa perizia è stata attuata con grande meticolosità. Però, alle volte la troppa perfezione stroppia. Perché se l’obiettivo è rendere l’espressioni quanto più possibili vicine a quelle umane, diventa quasi impossibile, perché i movimenti dei personaggi cominciano a risultare più robotici che biomeccanici. Ma se questo esperimento lo si fa verso la trasposizione di cartoon o fumetti, esso potrebbe raggiungere il suo vero scopo: quello di stupire! Steven Spielberg ha già dichiarato il suo amore per il fumetto del belga Hergé (all’anagrafe Georges Prosper Remi), Le avventure di Tin Tin, che già dai primi trailer visibili sul web, promette essere un colossal d’avventura stile Indiana Jones. Un film del genere farlo con attori in carne e ossa, avrebbe richiesto un lavoro immane per la sartoria bizzarra, ma soprattutto per la ricreazione dei colori accesi, tipici del fumetto.
Ecco che il digitale esercita un potere visivo indimenticabile. Chi potrà scordare quella fantastica esplosione di colori in Avatar?
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