Non molto tempo fa trovai lavoro presso un'azienda chimica. Una multinazionale che produceva paraffine; zeppa di barili enormi con il "teschio crociato". Cioè io lavoravo per la "morte".
Il mio era un paesino di provincia, Arcorville. Avere un lavoro a tempo pieno, con un contratto a tempo indeterminato, qui, non era certo da tutti. Guidavo il carrello elevatore, almeno questa era la mia mansione, ma da quando ero stato assunto facevo anche dell'altro: ad esempio, riparavo le centraline elettriche, oppure, i motori in avaria. Come era solito dire il mio caro collega Giancarlo: - te, qui dentro, sei un tuttofare.
Mi ci ero abituato, oramai, all'odore della paraffina, un profumo simile al benzene, cioè nei primi giorni di lavoro sembrava profumare alle narici, ma dopo sei anni cominciavi a nausearla di brutto.
Non avevo mai preso nessun giorno di malattia; se mi chiedevano gli "straordinari", li facevo senza fare storie.
Molti dei miei colleghi diplomati, e non solo, anche quelli con la licenza media, dopo una decina d'anni d'anzianità, avevano la prima promozione. Alcuni giorni capitava di vedere tavoli addobbati, proprio nel bel mezzo dell'hangar, tra quella puzza nauseante della paraffina ed il rumore metallico delle macchine in funzione; gruppi d'operai intorno ai tavoli che stappavano bottiglie di spumante e mangiavano torta: era la promozione di qualcuno!
C'erano, poi, i cosiddetti "diventati laureati", cioè quelli che lavoravano e studiavano, e che avevano raggiunto faticosamente la laurea; (io ero uno di questi)solo che questi poveretti, come me, non avevano mai visto una promozione.
Timbrai il cartellino. Tolsi il mio elmetto protettivo e il camice blu. Entrai di corsa in macchina e mi diressi a casa.
Mia moglie Sandra aveva lasciato il piatto caldo sul tavolo. C'era, anche, del buon vino rosso di vendemmia appena conclusa. La trovai coricata. Era bellissima. La camicetta da notte bianco candido, leggeremente sbottonata, che faceva intravedere il seno sudato, in una calda serata di settembre; mi vide, aprì sensibilmente la palbebra contornata da lievi tracce di mascara, accennandomi un sorriso. Mi stesi accanto e le diedi un bacio sulla fronte; si girò tranquillizzata dall'altra parte e riprese a dormire.
La mattina seguente, sentii squillare il telefono. Dall'altra parte in cucina, sul fornello, la caffettiera russava e sprigionava il profumo della moka. Ero quasi pronto per andare a lavoro, quando risposi al telefono: - Pronto?
- Parlo con il Signor Legea?
- Sì, sono io - feci.
- Salve, Signor Legea. La chiamiamo dagli uffici amministrativi della Paraffine & Co. Sarebbe tanto gentile a presentarsi intorno alle undici, di questa mattina, presso i nostri uffici? Perché il nostro "illustre, magnifico, magister Direttor Carloni", le vuole parlare ... - disse con tono professionale.
Tra di me corse veloce il sangue nelle vene e presto arrivò alla testa come un razzo. Avvertii che si trattava di una promozione!
- Sì, sì certo, sarò per quell'ora lì da voi.
- Grazie per la sua generosa disponibilità, Signor Legea - ringraziò e riappese.
Sandra era di tergo. Io mi girai con un sorriso a trentadue denti. Ci guardammo negli occhi e lei col suo entusiasmo velato nello sguardo, anticipò ciò che volevo comunicarle, e mi abbracciò amorevolmente.
Bevvi di corsa il caffè; lavai rapidamente i denti e proprio mentre stavo per andarmene, nella tromba delle scale Sandra strillò: - Mario, Mario e questa? - sventolando la mia cravatta bordeaux.
- Ah sì, tesoro ... hai ragione, che sbadato.
Ero in macchina diretto all'azienda, quando al tg della radio si parlava dello sciopero dei sindacati per la deroga dell'art. 18, dello statuto dei lavoratori. E stavano parlando e sparlando. A me importava poco, e da molti anni, non leggevo più i giornali, né guardavo la tv, perché mi stressavano, perciò spensi la radio dall'interruttore!
Paraffine & Co. Quinto piano. Appena si aprirono le ante dell'ascensore, vidi una segretaria in tailleur nero attillato, che mi accolse, dicendomi d'attendere, che l'illustre Ingegner Carloni mi avrebbe ricevuto.
Dopo neanche una decina di minuti, la segretaria mi si avvicinò. Chiusi di colpo la rivista che mi ero messo a sfogliare:
- Signor Legea è desiderato nell'ufficio dell'Ingegner Carloni.
- Grazie - dissi educatamente.
L'ufficio era tutto bianco: dai mobili, alle sedie, alle pareti. Bianco. Una enorme finestra che sprigionava luce, rendeva tutto più accecante. Al centro una sedia vuota, distante una ventina di metri dalla sua scrivania. Lui seduto su una poltrona in pelle, che sembrava più un trono, era di spalle alla porta. La voce: - Bene, bene, bene. Signor Legea. S'accomodi. Si segga. E faccia un bel respiro! Sia sempre ottimista. Mi raccomando. Lei si chiederà, cosa mai stesse facendo nel mio ufficio vero?
Io, dapprima non risposi. Fece un giro di sedia, voltandosi verso di me.
Non l'avevo mai visto, nessuno l'aveva mai visto. Era bassissimo. Addirittura i piedi erano sopraelevati dal pavimento. Aveva quasi la stazza di un bimbo di otto anni. I capelli neri che sembravano finti ed un volgare sigaro tra i denti.
- Allora ... Signor Legea voglio comunicarle che lei da domani non sarà più ...
Lo anticipai euforicamente: - un operaio di macchina, Signore?
- Sì certo ... È licenziato!!! Ah, un attimo, un attimo ... Eh ... Non chieda il perché!
Un fremito da rabbia inconsueta non riuscì a fermare il mio verbo: - E per ... ché? - feci.
Neanche il tempo di pronunciare la frase che si aprirono i battenti del suo ufficio ed entrarono quattro uomini in divisa da vigilante bianca, mi presero di peso e mi portarono via.
Ebbi un sussulto, poi, aprii gli occhi ed ero sudato in fronte; riflettevo il mio volto davanti lo specchio. Ero in bagno. Sentii sbattere l'anta della porta, quando vidi entrare Giancarlo:
- Uè Mario, apposto? Tutto bene? Hai 'na brutta cera oggi ... Dai vieni in mensa, gli altri t'aspettano ... che la torta non può rimanere senza il festeggiato!
Mia moglie Sandra aveva lasciato il piatto caldo sul tavolo. C'era, anche, del buon vino rosso di vendemmia appena conclusa. La trovai coricata. Era bellissima. La camicetta da notte bianco candido, leggeremente sbottonata, che faceva intravedere il seno sudato, in una calda serata di settembre; mi vide, aprì sensibilmente la palbebra contornata da lievi tracce di mascara, accennandomi un sorriso. Mi stesi accanto e le diedi un bacio sulla fronte; si girò tranquillizzata dall'altra parte e riprese a dormire.
La mattina seguente, sentii squillare il telefono. Dall'altra parte in cucina, sul fornello, la caffettiera russava e sprigionava il profumo della moka. Ero quasi pronto per andare a lavoro, quando risposi al telefono: - Pronto?
- Parlo con il Signor Legea?
- Sì, sono io - feci.
- Salve, Signor Legea. La chiamiamo dagli uffici amministrativi della Paraffine & Co. Sarebbe tanto gentile a presentarsi intorno alle undici, di questa mattina, presso i nostri uffici? Perché il nostro "illustre, magnifico, magister Direttor Carloni", le vuole parlare ... - disse con tono professionale.
Tra di me corse veloce il sangue nelle vene e presto arrivò alla testa come un razzo. Avvertii che si trattava di una promozione!
- Sì, sì certo, sarò per quell'ora lì da voi.
- Grazie per la sua generosa disponibilità, Signor Legea - ringraziò e riappese.
Sandra era di tergo. Io mi girai con un sorriso a trentadue denti. Ci guardammo negli occhi e lei col suo entusiasmo velato nello sguardo, anticipò ciò che volevo comunicarle, e mi abbracciò amorevolmente.
Bevvi di corsa il caffè; lavai rapidamente i denti e proprio mentre stavo per andarmene, nella tromba delle scale Sandra strillò: - Mario, Mario e questa? - sventolando la mia cravatta bordeaux.
- Ah sì, tesoro ... hai ragione, che sbadato.
Ero in macchina diretto all'azienda, quando al tg della radio si parlava dello sciopero dei sindacati per la deroga dell'art. 18, dello statuto dei lavoratori. E stavano parlando e sparlando. A me importava poco, e da molti anni, non leggevo più i giornali, né guardavo la tv, perché mi stressavano, perciò spensi la radio dall'interruttore!
Paraffine & Co. Quinto piano. Appena si aprirono le ante dell'ascensore, vidi una segretaria in tailleur nero attillato, che mi accolse, dicendomi d'attendere, che l'illustre Ingegner Carloni mi avrebbe ricevuto.
Dopo neanche una decina di minuti, la segretaria mi si avvicinò. Chiusi di colpo la rivista che mi ero messo a sfogliare:
- Signor Legea è desiderato nell'ufficio dell'Ingegner Carloni.
- Grazie - dissi educatamente.
L'ufficio era tutto bianco: dai mobili, alle sedie, alle pareti. Bianco. Una enorme finestra che sprigionava luce, rendeva tutto più accecante. Al centro una sedia vuota, distante una ventina di metri dalla sua scrivania. Lui seduto su una poltrona in pelle, che sembrava più un trono, era di spalle alla porta. La voce: - Bene, bene, bene. Signor Legea. S'accomodi. Si segga. E faccia un bel respiro! Sia sempre ottimista. Mi raccomando. Lei si chiederà, cosa mai stesse facendo nel mio ufficio vero?
Io, dapprima non risposi. Fece un giro di sedia, voltandosi verso di me.
Non l'avevo mai visto, nessuno l'aveva mai visto. Era bassissimo. Addirittura i piedi erano sopraelevati dal pavimento. Aveva quasi la stazza di un bimbo di otto anni. I capelli neri che sembravano finti ed un volgare sigaro tra i denti.
- Allora ... Signor Legea voglio comunicarle che lei da domani non sarà più ...
Lo anticipai euforicamente: - un operaio di macchina, Signore?
- Sì certo ... È licenziato!!! Ah, un attimo, un attimo ... Eh ... Non chieda il perché!
Un fremito da rabbia inconsueta non riuscì a fermare il mio verbo: - E per ... ché? - feci.
Neanche il tempo di pronunciare la frase che si aprirono i battenti del suo ufficio ed entrarono quattro uomini in divisa da vigilante bianca, mi presero di peso e mi portarono via.
Ebbi un sussulto, poi, aprii gli occhi ed ero sudato in fronte; riflettevo il mio volto davanti lo specchio. Ero in bagno. Sentii sbattere l'anta della porta, quando vidi entrare Giancarlo:
- Uè Mario, apposto? Tutto bene? Hai 'na brutta cera oggi ... Dai vieni in mensa, gli altri t'aspettano ... che la torta non può rimanere senza il festeggiato!
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