Sembra, piuttosto, un esercizio di natura proustiana. Una girandola d’emozioni, che oscillano, costantemente, tra il tempo perduto e il tempo ritrovato. Con “Midnight in Paris” Woody Allen aggiunge un altro piccolo capolavoro ai suoi quarantacinque film precedenti. Il giovane attore Owen Wilson è bravo ad incarnare un giovine Allen dall’aria persa e disincantata. Lui è un apprendista scrittore, senza un romanzo pubblicato; in realtà, è uno sceneggiatore di fiction negli Stati Uniti: ammette che scrivere sceneggiature sia più facile che scrivere romanzi, non si può certo dargli torto. A fare da sfondo una Parigi ripresa nella sua bellezza notturna. Molto caratteristiche le riprese iniziali delle vie di Parigi che precedono i titoli di coda. Il regista è ammagliato dalle luci che graffiano Parigi e dagli splendidi ponti che s’affacciano sul Senna, come la scena sul ponte Saint-Michel. Il giovane protagonista si ritrova a vagare per Parigi in dolce compagnia della ragazza e (forse …) futura moglie, perché i genitori di lei li convincono a raggiungerli per un breve soggiorno, visto che il padre di lei è un uomo d’affari con tendenze repubblicane. Poi, come una manna dal cielo, fionda il passato. L’alter ego di Allen decide di passeggiare da solo per le strade di Parigi; la moglie gli consiglia di non allontanarsi troppo dal Grand Hotel nel quale alloggiano, per non rischiare di perdersi; ma lui che fa? Si perde. Ecco che entra la mano del regista, che come un dio, ha il potere di stravolgere il tempo. Dopo la mezzanotte per il giovane scrittore “suona la campana” e comincia a rivivere avventure di straordinaria ironia con i padri putativi dell’arte e della letteratura, quelli che hanno scritto, dipinto e vissuto nella Parigi degli anni '20 e ’30. Incontrerà Ernest Hemingway, Pablo Picasso e la musa che posava per lo stesso pittore, interpretata da Marion Cotillard, donna bellissima che era contesa tra i due artisti; Salvador Dalì (Adrian Brody) e Luis Bunel, il regista del surrealismo. Lo sguardo sul ricordo, è sincero, bello e leggero. Chi andrà in sala a vederlo deve cercare proprio questo aspetto: il reale che incontra il surreale, il presente e il passato. La riflessione del passato che serve a farci capire questo vuoto e poco creativo presente. Perché chi si aspetta in questa pellicola, solo comicità da battuta, ne rimarrà deluso. Qui c’è una comicità arguta, sensibile, che tocca la cultura, la filosofia, la politica e la società. Allen vuole dichiarare allo spettatore il suo rigetto verso il presente, privo di creatività e bellezza, rispetto, invece, ad un passato ricco di bellezza, cool, come lo definiranno le parole stesse del protagonista.
Jason Statham ha già collaborato con il regista Guy Ritchie, era nel cast di Lock, Stock and Two Smoking Barrels (1998), film rivelazione per entrambi. Ne La Furia di un Uomo (2021), su Prime Video dal 27 dicembre 2021, Ritchie dirige di nuovo Statham che veste i panni di "H", un ibrido tra un John McClane e un Bryan Mils di Io vi Troverò e che dispensa battute ermetiche e ossa rotte in quantità uguali. Detta così pare si tratti di un b-movie qualsiasi, ma, fortunatamente, non lo è. Guy Ritchie è un regista abile nel ricomporre sceneggiature lineari attraverso il montaggio disorganico e le riprese poliedriche. Alcuni suoi lavori sono azzeccati (gli Sherlock Holmes , The Gentlemen , Snatch ), altri un po' meno ( King Arthur , Aladdin e il remake/floppone Swept-Away ). Con La Furia di un Uomo Guy Ritchie, invece, si è mantenuto in bilico, raggiungendo un equilibrio tra action tradizionale e heist movie . La Furia di un Uomo, da quello che si legge in giro, è un remake...
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