Penelope Cruz in una scena di To Rome with Love |
Sarà che forse Parigi mette in moto la creatività. Si possono trovare spunti meritevoli per dare vita a forme d'arte diverse. In Midnight in Paris la dichiarazione di Allen verso l'arte era spudorata, chiara ed illuminante; ma in To Rome with Love, che già il titolo presuppone sia stato tradotto con Google translate, tutto il lavoro precedente di Allen, partendo dall'inizio di questa trilogia delle città d'arte, da Vicky Cristina Barcelona sino a questo, si mostra fallace. Un film sconclusionato, uno dei più brutti del maestro, il Pap'occhio di Orfini al confronto è un capolavoro. Vengono dubbi seri nel sapere se Allen abbia veramente diretto questo film, perché è di una bruttezza quasi barocca (ps. è probabile che tra una decina d'anni diventi un capolavoro chi lo sa). La "trama" è ad episodi. Uno racconta la storia di uno studente di architettura americano che sta a Roma, l'altro, quello con Benigni, di una persona qualunque che diventa famosa, non si sa il perché diventi famoso e forse Allen credeva che non dicendo il perché tutti potevamo riderne, invece viene voglia di lasciare la sala; poi c'è quello della coppia di Pordenone imbranata con attori rigorosamente italiani, e infine il più carino l'episodio del cantante lirico "sotto la doccia". Tutto il film è un pastiche amaro e sgangherato, con un doppiaggio orribile a partire dal vigile urbano d'apertura che racconta Roma, quel vigile esile con la voce di Pannofino. Unico plauso va a Penelope Cruz e alla sua "dis"-armante bellezza.
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