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Se il potere può avere colore politico


Riporto un articolo apparso sul sito "EUROPAOGGI", che ho letto e che reputo davvero interessante e che consiglio vivamente. È un'analisi abbastanza esaustiva sulla complicata considerazione del potere, che può per sua natura assumere diverse facce; è insito nelle persone, nella cultura, nelle associazioni, nei laboratori culturali, nelle banche, negli organismi finanziari ... insomma, dappertutto! E si pone una domanda, se esso (il potere) possa o no, avere colore politico.

" Ha senso interrogarsi se "sinistra", "centro" o "destra" abbiano più potere? Ed ha senso scandalizzarsi per concentrazioni eccessive di potere, per invasioni di campo indebite?
In quali ambiti è ammissibile che il potere abbia un colore politico?
Dobbiamo innanzitutto definire il "potere" in senso generale: "attitudine o capacità di influenzare in modo determinante persone o situazioni", recita lo Zingarelli. Il potere consente a chi lo esercita di raggiungere i suoi scopi (nobili, leciti, immorali, egoistici, ecc.); ma glielo consente in quanto condiziona altre persone, incide sulla loro libertà. Il potere è un arma, che va utilizzata con grande accortezza anche nelle piccole situazioni quotidiane (il potere del vigile sull'automobilista, del medico sul malato, dell'arbitro sul calciatore, ...).
Il potere gratifica chi lo esercita, ha anche una forza di seduzione psicologica molto pericolosa: può tendere ad autoalimentarsi, dimentico del fine (nobile?) per il quale era stato conquistato o conferito. A spese di qualcun altro, naturalmente. "Cumannari è megghiu che futtiri", dicono i mafiosi siciliani... Il potere è la tentazione suprema cui Satana ha sottoposto Cristo nel deserto.
Esistono diverse forme di potere, di condizionamento dell'altro: con la forza fisica, con il denaro, con la persuasione, con il ricatto, con la seduzione. Forme di potere che, evidentemente, si esercitano sia nella vita sociale, sia in quella privata. Forme di potere che possono avere una 'legittimità', riconosciuta da chi lo subisce (e quindi chi lo esercita ha un'autorità o un'autorevolezza), o possono essere accettate soltanto per costrizione o necessità.
A noi interessa, in questa sede, occuparci delle forme di potere sociale.
Il potere è innanzitutto quello pubblico-istituzionale, il potere dello Stato, esercitato dagli organi cui è conferita autorità dalla legge (dall'ordinamento giuridico). Questo potere è "coattivo", cioè può ricorrere all'uso della forza per farsi rispettare; e poiché in uno Stato di diritto i pubblici poteri hanno il monopolio dell'uso della forza, si capisce quanto questo potere sia enorme ed invasivo: dispone di esercito, forze di polizia, apparati burocratici, risorse economiche prelevate obbligatoriamente dai cittadini (le tasse). La storia del pensiero politico moderno è proprio la storia del tentativo - da un lato - di rendere questo potere meno opprimente, e - dall'altro - di ridurre i rischi che le sue leve siano manovrate da poche persone.
Rendere questo potere meno opprimente significa renderne l'esercizio non arbitrario (regole dello Stato di diritto). Significa salvaguardare uno spazio di autonomia per le minoranze. Significa ridurne al massimo gli ambiti di azione, secondo il disegno dello Stato liberale e, innanzitutto, mediante l'attuazione del principio di sussidiarietà: un'entità superiore (lo Stato) interviene solo a sostegno dei corpi intermedi (famiglia, associazioni, scuola, chiese, impresa, ecc.). Quindi: poche tasse, poche leggi, maggior libertà possibile ai cittadini per esercitare le proprie scelte.
Ridurre il rischio che il potere pubblico sia potere di pochi è l'obiettivo che si pongono le regole democratiche (la fonte della sovranità devono essere libere elezioni) e il principio di separazione dei poteri (innanzitutto esecutivo, legislativo, giudiziario), per consentire anche un reciproco bilanciamento.
Quand'anche fossimo riusciti a costruire uno Stato pienamente di diritto, liberale, democratico (e in Italia ne siamo ben lontani), si tratterebbe sempre di un'entità con un potere enorme. In che misura il colore politico può condizionare i poteri pubblici? Ricordiamo che colore politico significa partiti, cioè "parti" della società: esprimono una porzione di ceti e interessi sociali; il loro programma esprime una visione della società, appunto, "parziale". Essi, secondo la nostra Costituzione (art.49), "concorrono a determinare la politica nazionale"; non la determinano da soli, men che mai alcuni tra essi.
Il loro potere di influenza, quindi, dev'essere limitato: così nella sfera legislativa (Parlamento), come in quella esecutiva (Governo) e giudiziaria (magistratura).
Parlamento: nelle Camere si costituisce una maggioranza, che certo ha un colore politico. Ma ogni parlamentare "rappresenta la Nazione" (art.67), non solo il suo partito: quindi le leggi devono mirare al bene comune, devono rispettare i principî di Stato liberal-democratici sopra descritti. E la maggioranza deve dare spazio dialettico alla minoranza.
Quanto al Governo, esso è espressione diretta della maggioranza, e quindi esprime ovviamente una posizione politica. Ma deve agire nell'alveo delle sue prerogative, e sempre nel rispetto dei principî costituzionali e liberal-democratici. L'esigenza della "governabilità" - importantissima - va promossa garantendo o rafforzando le prerogative dell'esecutivo, ma non consentendo che siano scavalcate.
Inoltre, il Governo agisce per il tramite della Pubblica Amministrazione, di cui la Costituzione richiede (art.97) l' "imparzialità"; "i pubblici impiegati sono a servizio esclusivo della Nazione" (art.98). Quindi, ad esempio: niente spoils system (sostituzione di dirigenti con proprî amici) generalizzato ad ogni cambio di Governo; niente assunzioni clientelari (magari mascherate da "stabilizzazione dei precari"...); ecc.
La magistratura, gli organi costituzionali, le Autorità di garanzia, infine, anche quando alla nomina di alcuni componenti sono chiamati Parlamento e Governo, non devono avere assolutamente nessun colore politico. Non solo formalmente (non devono essere iscritti a partiti), ma anche sostanzialmente: non devono avere rapporti preferenziali con soggetti politici, non devono produrre atti che possano costituire espressione di personali posizioni politiche. Non c'è solo un problema di autonomia (in America, per rafforzarla, utilizzano l'elezione popolare di questi organi), ma anche di imparzialità.
Insomma: non è una concezione democratica, bensì totalitaria, quella di chi pensi: "ho vinto le elezioni, ho diritto a fare tutto quello che mi pare perché questa è la 'volontà degli elettori'. Chi non ha vinto, ci riprovi la prossima volta."
E' vero che il potere appartiene al popolo sovrano, che lo esercita mediante i suoi rappresentanti eletti. Ma è anche vero che, in uno Stato di diritto, il potere del Parlamento non è assoluto (e men che mai quello del Governo), ma regolato all'interno di una serie di contrappesi costituzionali. La democrazia si fonda sull'investitura popolare ma non si esaurisce in essa (ricordiamo che i giuristi della Roma imperiale giustificavano il potere assoluto dell'imperatore sulla base di un'originaria investitura popolare ricevuta con la lex de imperio).
Altrettanto totalitaria sarebbe la concezione di chi volesse sottrarre i pubblici poteri al loro ruolo di imparzialità, con il pretesto che dovrebbero fare da "contrappeso" a poteri privati e sociali particolarmente forti. Il contrappeso lo deve creare liberamente la società civile, nell'ambito di regole che favoriscono il pluralismo. (Esempio concreto: non può giustificarsi una RAI "di sinistra" col pretesto che dovrebbe riequilibrare una Mediaset "di destra").
E non è nemmeno ammissibile, infine, l'idea di sottrarre alcuni poteri (in nome della "indipendenza", o della "investitura popolare") ai reciproci controlli costituzionali.
Oltre i poteri pubblici, naturalmente, esistono i poteri sociali privati. Poteri finanziari (banche, società d'investimento), economici (industrie, imprese), della comunicazione (tv, giornali, radio), dei gruppi di organizzazione sociale (sindacati, associazioni di categoria) e culturale (associazioni, chiese, mondo dello spettacolo, ecc.). Possono questi poteri avere un colore politico?
Il problema non è se il singolo imprenditore o giornale abbia legittime opinioni politiche. (E lasciamo da parte schematismi di classe vetero-marxisti del tipo "il potere economico è sempre di destra". Qui con "destra", "centro", "sinistra" stiamo definendo innanzitutto gli attori della politica, con le loro rappresentanze di interesse, le loro proposte programmatiche, ed anche con le alleanze che stringono. Un imprenditore che sostiene la sinistra politica è "un potere economico di sinistra"). Il problema è quello dei legami tra poteri sociali e forze politiche.



La politica, ovviamente, ha bisogno di rapporti e colloqui con tutte le forze ed i poteri sociali, per conoscere le realtà sulle quali deve intervenire con leggi ed atti amministrativi. Reciprocamente, i poteri sociali hanno interesse a fare azione di rappresentanza (lobbying) delle loro esigenze e dei loro problemi, per ottenere provvedimenti in grado di risolverli.
Ma un conto sono i rapporti e i colloqui, altro i legami organici che si instaurano tra le forze politiche e alcuni poteri sociali (o anche settori di istituzioni pubbliche che dovrebbero essere imparziali) quando si decide di salire su uno stesso carro. Qui le forze politiche non agiscono più per il bene comune, ma per favorire (con politiche su misura o provvedimenti di privilegio) gli attori cui sono legate; utilizzano i pubblici - ed invasivi - poteri, i soldi dei cittadini, non solo secondo una visione di parte, ma per fini di parte.
I poteri sociali (o anche quei settori di istituzioni pubbliche) che sono favoriti da forze politiche amiche le ricambiano con finanziamenti, pubblicità, azioni di favore (o di ostilità verso le forze politiche avverse).
Il fine diventa il rafforzamento reciproco di potere (e i vantaggi personali per i protagonisti di queste manovre). Ne fa però le spese il bene comune; vengono danneggiate le istituzioni, la democrazia (attraverso il condizionamento del libero convincimento degli elettori), l'economia. Ai cittadini-"consumatori" (di prodotti industriali, finanziari, culturali) vengono offerti prodotti "adulterati": anche un film di propaganda, come "marchetta" per il politico che lo ha finanziato, lo è.
Tornando infine alle domande che ci eravamo posti inizialmente, possiamo rispondere: sì, ha senso interrogarsi se "sinistra", "centro" o "destra" abbiano più o meno potere. Ed ha anche senso scandalizzarsi per concentrazioni eccessive di potere, per invasioni di campo indebite.
Le nostre piccole mappe di potere, che forniamo in questa sezione del sito, vogliono essere un modesto contributo in questa direzione. Lasciando le conclusioni agli amici lettori. "

[articolo dal sito: www.europaoggi.it]



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