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Prometheus. L'arte della paura e dell'avanguardia


Prometheus. È il nome della navicella spaziale, nella quale dimora l'equipaggio del nuovo film di Ridley Scott, in uscita la settimana scorsa nelle nostre sale. Non stiamo a paragonarlo a Blade Runner o ad Alien, perché sarebbe insolito; un film è frutto di un team di sceneggiatori (in questo caso alla sceneggiatura la coppia della serie Lost), di una produzione a sé stante e di un'era economica, stilistica e tecnologica che lo contraddistingue. Il mito di Prometeo, Colui che aveva chiesto agli Dei che l'essere umano doveva avere le stesse caratteristiche pensanti e fisiche, così da dar vita alle condizioni esistenziali umane. Ma a volte mettersi contro Zeus è pericoloso! Non è un film mitologico, per fortuna, ma Ridley Scott torna a tracimare visionarietà da tutti i pori. La prima cosa che traspare dalla prima parte del film è lo stile. Pulito, tecnologicamente luminoso (continua l'uso di questi ologrammi touch, che anticipano i prototipi dell'attuale touchscreen); le scene d'apertura dei paesaggi sono spettacolari. Tutto ha inizio con un essere simile a noi, un gigante nerboruto e bianco come lo zucchero, che al pendio di una cascata, avvista una presunta navicella ovalizzata. La osserva, ma in mano ha qualcosa, un contenitore dal quale beve un fluido nero come la pece. Ecco che il 3D ci mette il suo; inizia una piano sequenza che ci fa entrare nell'organismo dell'essere, sino a vederlo pian piano disgregarsi e cadere nelle acque scroscianti dell'enorme cascata.
Così comincia l'opera di Ridley, che poi sbatte un team di astronauti verso i confini dell'universo. Non una spedizione qualsiasi, ma una missione che punta a darci una risposta alla domanda: da chi siamo stati creati? L'equipaggio è composto da archeologi, biologi e geologi, ma anche da un androide David (tanto caro a Scott, ricordate Roy Betty?) questa volta interpretato da Michael Fassbender in uno stato di grazia altissima. Meno convincente la protagonista Noomi Rapace, la punkettara bisex di Uomini che odiano le donne. Un film che non lascia soddisfatto chi non mastica la fantascienza, che lascia degli interrogativi, sia sui personaggi poco dettagliati, che sulla missione in genere, una delle caratteristiche di Lindelof &Co. In generale possiamo dire che è un'opera d'avanguardia, che si distacca da Avatar, per il suo pessimismo e per il misticismo di fondo, ma anche perché la paura è la costante del secondo tempo di questa pellicola, cosa che in Avatar era assente. Tanti i rimandi ad Odissea 2001 di Kubrick, ma anche tanto Carpenter con scene splatter gelatinose  che ricordano l'horror degli anni '70 e '80. Insomma un'opera decente, di genere, per amanti della fantascienza con la "F" maiuscola.

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