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Zero Dark Thirty: morto Bin Laden si fa un (altro) film

Gli americani arrivano sempre a risolvere ogni problema. Vasco Rossi tanti anni fa cantava in (Per Quello Che Ho Da Fare) Faccio il Militare … non siamo mica gli americani che loro possono sparare agli indiani … infatti la loro natura eroica non si smentisce mai, specie dopo aver visto Zero Dark Thirty. L’impatto visivo del film di Kathryn Bigelow è forte. All’inizio lo schermo è nero. Sentiamo le urla strazianti delle vittime dell’undici settembre, perché quello è il principio, l’inizio che porterà ad una caccia tormentata, la caccia al terrorista di cui si sa tutto e niente: Osama Bin Laden.
Zero Dark Thirty in gergo militare e spionistico sta a significare, “la cattura e l’uccisione” di un noto ricercato internazionale, ma anche “la mezz’ora dopo la mezzanotte”, l’ora, appunto, dell’operazione alla fortezza di Abbottabad. Il film analizza, in maniera fine e sempre con un uso della camera a mano mai invasiva, i precedenti che hanno portato poi alla cattura del Nemico Pubblico Numero 1. La sceneggiatura è di Mark Boal, che aveva già scritto il soggetto di The Hurt Locker, precedente lavoro della Bigelow che vinse 6 premi oscar, tra cui miglior film. Qui Boal ha raccolto una serie di documenti e dati sensibili di agenti operativi della CIA, tra i quali c’era l’agente Maya, nel film interpretata dalla bella e brava Jessica Chastain.
Una narrazione cinematografica dalla carica straordinaria; in essa c’è il documentario, la finzione, l’azione e lo spionaggio politico. Un film per nulla retorico, a tratti brutale quanto lo è la realtà della guerra; anche autocritico, specie quando si affronta il tema della tortura dei prigionieri terroristi. Un’opera di finzione liberatoria come liberatorio è il pianto finale di Maya (Jessica Chastain), un pianto di vittoria che la libera dalla paura, quella paura del passato che sembrava la stesse schiacciando col peso del mondo.

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