Quante volte abbiamo sentito un politico fare delle affermazioni fuori luogo? Ultime quelle di Calderoli al ministro dell'integrazione Cécile Kyenge. "Le parole sono importanti" diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa e la loro rilevanza le rende forti e significative per il raggiungimento di uno scopo. I social network in tal senso hanno rafforzato il loro uso, trascurandone quelle che sono le regole semantiche e molto spesso grammaticali, ma hanno avvicinato, come un'ondata populista tutti coloro che non sentivano l'esigenza di scrivere. Ultimamente si scrive davvero tanto, troppo, e quello che in gran parte viene scritto è un agglomerato indistinto. Basta prendere il caso Shalabayeva, se ne sta scrivendo dappertutto, si arriverà a parlare di tutto, si stanno toccando nomi noti al mondo dell'establishment. Questo prenderà l'interesse del lettore comune; che leggerà, s'informerà perché vorrebbe capire di cosa si sta parlando, ma chiunque stia seguendo questa vicenda, l'unica risposta che riesce a dare è: non si riesce a capire un bel nulla! Ecco che due più due fa quattro. Futili (e razziste) dichiarazioni di un politico da un lato, un caso incomprensibile con una scorribanda di nomi kazaki dall'altro ed il gioco è fatto: confondere. Distrarre la massa dai veri problemi (mancanza di lavoro, assenza di governo e dei partiti, corruzione). Noam Chomsky, teorico della comunicazione e linguista statunitense, ha fatto una lista, nella quale elenca dieci modalità con cui controllare la società di massa. La prima modalità è Strategia della distrazione: «L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti». Questo avrebbe lo scopo di allontanare il lettore da quelli che sono i veri punti cruciali di una politica che non agisce, ma che presenzia e basta; di una politica che dichiara di fare, ma che di fatto non fa nulla.
Jason Statham ha già collaborato con il regista Guy Ritchie, era nel cast di Lock, Stock and Two Smoking Barrels (1998), film rivelazione per entrambi. Ne La Furia di un Uomo (2021), su Prime Video dal 27 dicembre 2021, Ritchie dirige di nuovo Statham che veste i panni di "H", un ibrido tra un John McClane e un Bryan Mils di Io vi Troverò e che dispensa battute ermetiche e ossa rotte in quantità uguali. Detta così pare si tratti di un b-movie qualsiasi, ma, fortunatamente, non lo è. Guy Ritchie è un regista abile nel ricomporre sceneggiature lineari attraverso il montaggio disorganico e le riprese poliedriche. Alcuni suoi lavori sono azzeccati (gli Sherlock Holmes , The Gentlemen , Snatch ), altri un po' meno ( King Arthur , Aladdin e il remake/floppone Swept-Away ). Con La Furia di un Uomo Guy Ritchie, invece, si è mantenuto in bilico, raggiungendo un equilibrio tra action tradizionale e heist movie . La Furia di un Uomo, da quello che si legge in giro, è un remake...
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