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L'importanza di chiamarsi stile

Spesso si dice “vedo un film per passare il tempo”. Vero, ma il più delle volte scegliamo di vedere quello più banale, quello d’intrattenimento, la commedia o il demenziale. Il film ha meno potere di un libro se non ha narrazione, se non ha azione oppure se non ha stile. Il tutto è mosso da quest’ultimo aspetto. In gran parte lo stile contraddistingue, identifica, genera una personalità. È noto che dopo aver visto un film western, ad esempio “Per un dollaro in più” o “Il buono, il brutto, il cattivo”, ci si senta coinvolti dalle caratteristiche, dallo stile di quel personaggio, dalle sue frasi. Personaggio che coinvolge perché diseducativo, al di fuori degli schemi della morale. Clint Eastwood per esempio nei western di Leone potrebbe essere la fine per qualsiasi fumatore che si rispetti; perché quella caratteristica di girarsi e rigirarsi continuamente quel mozzicone da un’estremità all'altra delle labbra, insieme a quel broncio tipico dell’uomo rude che non deve chiedere mai, è una forma di stile che influenza, che crea empatia. Lo stile non ha lo scopo di elevare la morale, ma ha lo scopo ─ d’innalzare l’estetica ─. Fuoriuscire dal linguaggio normale, creare contrasto con l’ordine morale, disegnare una frattura tra ciò che è e ciò che non è. “Lo stile è una differenza, un modo di fare, un modo di esser fatto” diceva Bukowski in una poesia intitolata per l’appunto “Style”. Lo stile è un modo per non annoiare.

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