─ Signore cosa desidera nel frattempo? ─ chiese
il cameriere.
─ Ehm … preferirei farlo dopo, aspetto una
persona.
─ Va bene Signore ─ rispose l’uomo,
congedandosi.
Tom aveva preferito il tavolo vicino a un’ampia
finestra. Erano le otto di una sera d’ottobre, in un ristorante italiano del
Lincoln Center di Manhattan, a New York. Aspettava un noto amministratore
delegato di un’importante società finanziaria della Grande Mela. Tom, invece, lo
conoscevano in pochi, solo quelli che seguivano la sua arte. Faceva, infatti,
il commediografo, anzi, Tommy Dee si poteva dire fosse nato in teatro. Aveva
iniziato a familiarizzare col palco a soli quindici anni. Appena terminati gli
studi universitari, era passato a scrivere sceneggiature e riadattamenti di pièce famose presso il grande pubblico.
Quando aveva raggiunto la maturità, aveva pensato di realizzare una commedia
tutta sua. Ne era fiero, ci sperava. Il titolo era Good Morning Mr. Sky, a lui piaceva, come tutta la commedia, del
resto. L’aveva scritta lui e ci sperava. Era stata messa in scena e un critico
teatrale del NY Times, un tale Joseph Fleury, piazzato in prima fila, aveva
scritto che la sua opera era una “commediola cedevole, dai risvolti inconcludenti”.
Un anno era trascorso da allora, Tom aveva
deciso di non pubblicare alcuna commedia, ma aveva scritto, oh se aveva
scritto!
Giocava tra le mani il suo orologio. Ritto
sullo schienale della sedia aspettava inquieto. A un tratto si voltò verso
l’entrata e la vide arrivare. L’amministratore delegato Diane Robson. Un corpo
di femmina con una gonna nera a portafoglio e i tacchi alti. Sotto il
montgomery di cachemire, indossava una camicetta di seta rosa. Quando si
avvicinò uno sherpa per toglierle il cappotto, fece un movimento singolare:
portò indietro la chioma di capelli lisci scuri, svelando il collo niveo. Poi fece
per sedersi al tavolo. Tom si alzò per sistemarle la sedia.
─ Fa freddo fuori ─ disse Diane, spostandosi un
ciuffo di capelli dagli occhi.
─ Ordiniamo? ─ fece lui.
─ Si forse è meglio ─ seguitò lei ─ prendi del buon
vino per favore.
Tom fece segno a chi di dovere di portargli la
carta dei vini. Ordinarono una bottiglia di Barbaresco.
Le luci del Lincoln Center disegnavano le
forme, confondendosi con le luminescenze dell’umanità. Parlarono molto. Tom la osservò
più volte mentre beveva. Un pianista controllò dal borderò la prima canzone da
suonare.
─ Carissimi signori e signore, credo che in
questa notte stellata d’ottobre, sia ideale cominciare con un pezzo di … Questa
è Scenes from an italian restaurant.
Le note arrivarono alle orecchie dei
commensali, i quali si persero tra il chiacchiericcio e il rumore delle posate.
─ Da domani, tu metterai in scena quella
commedia ─ disse Diane.
─ Vuoi che incappi nella morsa delle parole di
quello stronzo? ─ chiosò Tom.
─ Fregatene, parlarne bene o male che
differenza fa ─ aggiunse lei ─ tu scrivi commedie che sono delle poesie e tutto
quello che viene dopo, è propaganda.
─ Non so se odiarti o … ─ non fece in tempo a
finire le parole, che Tom si alzò appena dalla sedia per darle un morbido bacio
sulle labbra, che lei delicatamente schiuse, chiudendo gli occhi e
abbandonandosi alle note di quella splendida canzone.
Enrico IGNONE
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