"Dont'
try" diceva Bukowski. Non mi aspetto né ora né mai che questo spazio sia
considerato d'opinione, d'informazione o di riflessione. Ognuno di noi legge,
discerne e si fa un'opinione come e quando vuole.
Tempo fa,
ora non so quando perché non mi sono mai riletto, scrissi nel tempo perso un
post, proprio su questo blog, nel quale parlai del decadimento del lògos.
Senza essere
ripetitivo, penso che siamo giunti oramai alla scomparsa della ragione.
In questo preciso
momento storico nel quale non c'è in pratica nulla di nuovo (se non iphone,
tablet, televisori e pc ad altissima qualità) nel quale non c'è una conquista
sociale e/o intellettuale, è difficile riuscire a muoversi, a fare, tanto meno
a parlare, ancor più a scrivere. Funzioni, diciamocelo, di questi tempi, davvero
inutili, per usare un brutto termine "bypassate".
La crisi una
volta divenuta economica agisce sulla psicologia delle persone, sullo stato
psicofisico, divenendo così crisi individuale. Cioè ad ammalarsi in sostanza è "l'io", questa costruzione così complessa, che è stata
oggetto di discussioni di filosofi come Kant, Hegel, Nietzsche, ecc. Oggi l'io
ha assunto due funzioni contrapposte: una tanto eccessiva da generare
narcisismo; l'altra talmente fittizia da generare impotenza.
Lo
strapotere del capitalismo ci ha indotto a diventare unità di consumo. Ci ha
resi tutti impotenti, nel senso di "spersonalizzati".
Un
disoccupato che vive in una famiglia con seri problemi economici, non ha
soluzioni se non quella di rimanere seduto sul divano. Una trappola quella
della disoccupazione, utile per la continuazione dei "programmi inesistenti"
dei governi. Perché in fondo, se tutto andasse bene di cosa dovrebbe dibattere
la politica? La disoccupazione diventa un pretesto affinché ogni politico e
politicante trovi delle ragioni sul niente, ne parli senza poi in concreto fare
nulla. Se il primo impotente è il politico, perché il cittadino deve dotarsi
del potere d'impegnarsi? Conviene dunque non impegnarsi. Restare totalmente disimpegnati.
E non ci deve essere nulla di strano e non bisogna condannare chi non si vuole
impegnare. Perché, di questi tempi, tra provare, provare, provare e provare,
meglio scegliere il non provare, il lasciare accadere; che non significa non
fare niente, ma significa essere resilienti.
Reagire resistendo di fronte alla violenza sociale che ci sbattono ogni giorno
in faccia! Anche un albero, cresce da fermo, non ci prova, eppure ne sopporta
le intemperie e di esse si nutre.
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