Calò
il sole e giunse la sera. Città a mare,
pochi abitanti, sulla Costa Fredda, si fece piena zeppa di luci e luminarie.
Luci provenienti da piccole finestre di case accalcate sugli scogli massicci.
Il mare, potente e imbizzarrito, eruttava onde dalle finiture argentate. La
luce della luna carezzava uno scorcio di cala, rendendola visibile. Più in là
vie e strettoie aprivano al centro storico della città. La gente si accalcava
e si urtava come atomi impazziti. C’erano bazar, localini e botteghe nelle
quali piazzisti e commessi viaggiatori smerciavano ninnoli d’ogni sorta.
Si
dovevano superare di tanto in tanto coltri di fumo che uscivano dalle
trattorie, nelle quali mastri pescatori friggevano il pesce fresco.
Un vecchio uomo dall’aria
assonnata seduto s’uno sgabello attorcigliava finissimi rami d’ulivo per farne
canestre. Sembrava fosse tutto coordinato, che il tempo seguisse delle regole.
In realtà era la gente a consumarsi e non la città; la gente avrebbe deciso se
divertirsi, sbraitare, bere, cantare, ballare e poi andare a dormire. Città a
mare, invece, rimaneva lì sveglia sino la mattina dopo e sino alla sera seguente
e all’altra ancora. Perché chi accoglieva la vita, non dormiva mai. Il mare sbatteva
forte sulla pietra salata e inneggiava alla potenza. L’avrebbe sempre fatto per
mostrare al mondo intero la sua esistenza.
Commenti
Posta un commento