Nelle
calde giornate d’agosto il sudore si appiccicava sulla pelle come un francobollo
sul retro lettera.
Avevo
otto anni. Ero un bambino del sud, che sarebbe diventato poi un uomo del sud.
Ricordo bene che allora il mio stato d’animo era euforico e al tempo stesso triste perché di
lì a poco sarebbe iniziata la scuola.
L’assenza,
dovuta al lavoro, dei miei genitori mi costringeva a passare gran parte del mio
tempo immaginario e reale con i miei nonni materni.
Mio
nonno, un vecchio distinto che aveva servito la Marina militare nel secondo
conflitto mondiale, m’incuriosiva. Non parlava molto con me; a dire il vero, parlavo
di più con mia nonna. Lei era di una dolcezza infinita, con una lunga chioma di
capelli neri nonostante l’età, che scioglieva di tanto in tanto e ingrassava
con dell’olio d’oliva. Le vedevo fare spesso quel gesto e mi fermavo a
guardarla. Erano dei frame, degli
sprazzi che arrivavano quando meno te lo aspettavi. E poi c’era l’odore della
casa. Ancora riesco a percepirlo forte e intenso profumo di formaggio Gavoi che
s’impregnava dappertutto. Gli odori di legno e terra bagnata del giardino che
si abbracciavano col fresco acre dell’albero di limoni.
Mio
nonno invece era solito usare sempre un borsalino di feltro soffice. Gli
donava, lo rendeva esatto. Gli costruiva il viso; pareva Leonard Cohen. Mia nonna, invece, portava sempre un vestito, il
solito fiorito, e aveva delle bellissime rughe che le conferivano un aspetto mistico,
quasi atavico.
Era gente d’altri tempi, di un'altra epoca.
Scorrazzavo
per la casa come una lepre inseguita dal bracconiere. Venivo ammonito da mia
nonna perché ero sempre scalzo e a torso nudo.
Una
mattina uscii sul ciglio della strada e mio nonno era seduto s’una sedia
malridotta. Mi avvicinai perché mi aveva fatto segno con la mano. I gesti nel sud sono la prima lingua.
Tutt’a un tratto mi parlò. Mi disse che ero sudato e che dovevo smetterla di
correre. Mi disse di mettermi la
canottiera. Lui, invece, portava un pullover ma non sudava. Al che gli
chiesi di non volerla mettere perché non la sopportavo. Mi disse di sentire gli
anziani, i vecchi, e “poi vedrai” mi ripeté.
Come al
solito non sentii il suo consiglio.
Una
volta adulto, specie in quei periodi primaverili in cui le influenze si ramificano
come formiche, decisi di metterla. E non mi ammalai. E la misi anche nei periodi
caldi e afosi; sotto la camicia; sotto a una polo. La porto tuttora. Il sudore
s’annichilisce. Sì, la senti che si attacca ma non sudi. Ogni volta che la
indosso, quel ricordo si materializza, quei momenti con essa prendono forma.
Ogni volta che la indosso, faccio un sorriso.
e. ignone
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