Spectre è il secondo Bond del regista Sam Mendes dopo Skyfall e il quarto di Daniel Craig. Mendes
(Era mio padre, American Beauty) mostra già all’apertura del film un’ineguagliabile
padronanza registica: piano sequenza tra la torma del “Giorno dei morti” a
Città del Messico che vede Bond alle prese con una scazzottata in un elicottero
che sta lì e lì per schiantarsi, mentre a terra la folla mascherata sciama di
qua e di là. Una grande scena d’azione insieme poi all’inseguimento sulla via
Nomentana a Roma in cui Bond gigioneggia con un’Aston Martin DB10 e il sicario
David Bautista che brama per ammazzarlo. La sequenza del treno in cui Bond
lotta all’arma bianca sempre con l’indistruttibile Bautista e che ricorda la
famosa scena dell’orient express di Dalla
Russia con Amore. La sceneggiatura di John Logan e Neil Purvis, non è
potente quanto lo fu quella di Skyfall, che andava a indagare sulla psicologia
profonda dei personaggi, ma è invece più debole. Qui c’è un’organizzazione
chiamata appunto “Spectre”, capitanata dal villain Ernst Stavro Blofeld
(Cristoph Waltz) che richiama il passato di Bond secondo uno schema freudiano
scandito da monologhi, costruendo così un’immagine di Bond quasi svilita, più
statica e antiestetica delle precedenti. Il bureau
dell’MI6 invece è alle prese con ostruzionismi interni, in cui M (Ralph Finnes)
risulta sbiadito rispetto ad un ruolo che dovrebbe rappresentare un burocrate
integerrimo. La fotografia, dell’olandese Hoyte Van Hoytema de La Talpa, restituisce un’eleganza visiva
e un’estetica raffinata; si vedano le scene a Tangeri e la sequenza tra Craig e
Monica Bellucci in uno splendido casale romano. Un Bond che nel complesso sprigiona
marketing da tutti i pori. La Bond girl
è la modella Lea Seydoux, che ha uno sguardo che dire sensuale è poco, sin’ora
forse la migliore Bond girl. Spectre è comunque uno 007 inconsistente dal punto di vista narrativo, ma si sostiene
sicuramente nella forma.
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