Point
Break letteralmente “punto di rottura” un
concetto connesso alla sottile linea del pericolo che collega la vita alla
morte di tutti quelli che praticano sport estremi.
Belli
i tempi in cui il compianto Patrick Swayze saluta “l’infiltrato” Keanu Reeves
per andare a cavalcare l’onda più alta del mondo, rimettendoci la pelle (nel
film) come la stragrande maggioranza degli atleti che praticano sport al
limite.
Il
primo della Bigelow è un cult ma questo di Ericson Core è un prodotto da
programmazione televisiva pomeridiana. Si deve dare atto che da un punto di
vista tecnico le scene d’azione sono state girate in condizioni estreme. Un
cameraman ha pure perso la vita nella scena del volo in tuta alare (in wingsuit) attraverso
una gola delle Alpi. Rimane tuttavia un’operazione di marketing nella quale ogni
scena assomiglia a uno spot televisivo o a un video musicale house.
Point
Break (2016) si serve di cliché zen per “normalizzare” la follia di questi
atleti estremi ritratti più come artisti maledetti che come dei semplici
disonesti. I quali vogliono diventare un tutt’uno con la natura, sfidandola e
allo stesso tempo essendo consapevoli dell’epilogo.
La
spiritualità del primo è gettata a mare ed è sostituita dalla sceneggiatura di
Kurt Wimmer (Equilibrium,Total Recall) con
dialoghi imbarazzanti costruiti su aforismi new
age e climax assenti. L’interpretazione degli attori? Indecifrabile, impersonale
e pubblicitaria. Un atto di banalità no
limits!
Commenti
Posta un commento