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Perfetti Sconosciuti



Non siamo ai livelli di Piccole bugie tra amici del regista Guillaume Canet o di Barbecue film di Eric Lavaine, però Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese emula l’idea della commedia alla francese e l’adatta all’ambiente sociale e temporale in cui viviamo.

Un gruppo di amici si ritrova a cena. Sono dei quarantenni, chi con moglie e chi single. Che cosa succederebbe allora se si decidesse di fare un gioco, nel quale ogni commensale svelasse i propri “segreti” ubicati nella scatola nera 3.0, ossia lo smartphone?

Gli interpreti (Giuseppe Battiston, Valerio Mastrandrea, Marco Giallini, Edoardo Leo, Alba Rohrwacher, Kasia Smutniak e Anna Foglietta) si prestano per una sceneggiatura dialogica (scritta a più mani da Genovese, Bologna, Costella, Mammini, Ravello) che non sortisce l’effetto di una commedia alla Woody Allen o alla Peter Bogdanovich, perché, durante la cena, accadono eventi tali da essere troppo aderenti con il livello semantico: cioè tutto ciò che è detto … accade.
Va dato atto che alcuni spunti reggano e nei temi sociali trattati (precariato, sesso, famiglia, psicologia) e nella struttura formale del film, unendo la commedia col suo antitetico: il dramma.
Se non fosse per l’evitabile manierismo pubblicitario di alcune scene, tipo la trovata dell’eclissi, forse Perfetti Sconosciuti si sarebbe allontanato dal ripetitivo gap retorico dell’attuale cinema italiano.
Una commedia che strizza l’occhio a Henrik Ibsen e ci fa capire quanto l’ipocrisia, alle volte, serva a mantenere intatto lo stato delle cose.

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