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Lo chiamavano Jeeg Robot

Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) è diretto da Gabriele Mainetti, regista classe ’76, autore dei cortometraggi Basette (2006) e Tiger Boy (2012).

Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un ladro accattone che vive da solo in un appartamento di un malfamato quartiere di Roma. Enzo non è un uomo qualunque perché utilizza i suoi superpoteri, che acquisisce dopo una caduta nelle torbide acque del Tevere.
In Spider-Man (2002) di Sam Raimi lo zio di Peter Parker dice «Da un grande potere derivano grandi responsabilità»; quelle di Enzo Ceccotti sono: difendere una ragazza della quale s’innamora e salvare i cittadini della Capitale dalla follia nichilista de “Lo Zingaro” (Luca Marinelli), uno schizzato mitomane.

Cosa c’entra con tutto questo Jeeg Robot? Alessia (Ilenia Pastorelli), la donna che Enzo cerca di proteggere e che soffre di problemi psichici, guarda incessantemente su un tablet lo storico manga giapponese Jeeg Robot d’acciaio, vedendo così nell’inquilino/protettore l’eroe del suo cartone preferito.

Mainetti ha la capacità di farci dimenticare che stiamo vedendo un film italiano. Infatti, Mainetti dirige in modo hollywoodiano come un Jon Favreau, ma poi guarda a Besson, ai nostrani Sergio Corbucci e Mario Bava. Lo chiamavano Jeeg Robot è un omaggio alle passioni nerd, che in parte hanno segnato le generazioni degli anni ’70 e ’80. Lo sceneggiatore Nicola Guaglione (Due piedi sinistri, Tiger Boy) invece non dimentica gli approfondimenti psicologici dei personaggi e l’utilizzo che questi fanno dei loro superpoteri. Un film che, dal punto di vista del cine-fumetto, ricorda molto Chronicle (2012) scritto da Max Landis e Hancock (2008) di Peter Berg e in cui non manca il pulp, la musica di contrasto e gli ottimi effetti speciali di fattura italiana.

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