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Dunkirk: quando sopravvivere non è cosa da poco

Dunkirk sicuramente è un film di guerra sul piano tecnico (girato anche su pellicola 70 mm come Ben Hur Lawrence D'Arabia), ma sul piano stilistico è un esperimento somigliante a un documentario, con picchi di tensione tipici del thriller psicologico.
Fino ad oggi, Dunkirk è il film più intimo del regista Christopher Nolan, che lo dirige e lo scrive di mano propria.
L'approccio estetico è differente dagli altri film di guerra come, ad esempio, Salvate Il Soldato Ryan di Steven Spielberg, che piuttosto si serviva di spettacolarizzare il dettaglio dei decessi nella sequenza di Omaha Beach; Nolan, invece, taglia e lima, lasciando l'essenziale.

«Nel maggio 1940, la Germania nazista avanzava in Francia, serrando le truppe alleate nelle spiagge di Dunkerque. Con il supporto dell'aviazione britannica, le truppe inglesi furono evacuate, utilizzando altresì ogni sorta d'imbarcazione militare e civile. Ne tornarono a casa 330.000, tra soldati inglesi, francesi, belgi e olandesi.»

Dunkirk è una pellicola, la cui forma narrativa è distribuita secondo tre livelli: The Mole, la fanteria sulle spiagge di Dunkerque in attesa dell'evacuazione; The Sea, il mare e le imbarcazioni civili che attraversano il Canale della Manica; The Air, il cielo e un pilota di spitfire, l'attore Tom Hardy, incaricato di eliminare l'aviazione tedesca che sorvola la costa.
La fotografia di Hoyte Van Hoytema è cupa, grigia e geometrica, molto olfattiva, che ci fa quasi percepire l'odore di carburante bruciato. A rafforzare poi il crescente tasso di tensione, la monodia di Hans Zimmer, minimalista e costruita sul ticchettìo di un orologio.
Si possono trovare punti di debolezza in Dunkirk? Forse sì, nella struttura narrativa dei personaggi: perché non ci sono approfondimenti sul background degli stessi, non conosciamo i loro nomi o il loro passato. Nolan tutt'al più preferisce soffermarsi sulla variabile darwiniana della sopravvivenza. La sopravvivenza delle masse, degli uomini/soldato, che, quando sono ripresi dall'alto, sembrano pedine di una tavola da scacchi, pronte a cadere in nome di un dio che non c'è.
Le interpretazioni sono massicce: commovente e intensa la parte del giovane Fionn Whitehead; Mark Rylance che interpreta un mozzo di un natante civile; l'impeccabile Tom Hardy che recita per tutta la durata del film con una maschera d'aviatore, citazione voluta da Nolan per il Bane che fu; e infine il freddo e composto comandante delle truppe sul molo, Kenneth Branagh sempre fedele al suo aplomb british.
Un film in cui domina l'estetica del tutto personale di Nolan. Quasi vicino al capolavoro.



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