Sarebbe
un errore leggere il titolo di questo film pensando a un invito a “battersi”
con le racchette. Perché Borg McEnroe
non è stata solo una storica finale di tennis tra due grandi campioni del
mondo, bensì sono state due storie di vite straordinarie, con tutti i limiti e
i difetti che si possono attribuire a degli esseri umani. Due temperamenti
opposti: uno svedese, Borg (Sverrir Gudnason), calmo e integerrimo nel campo e nella
vita, (almeno nei primi sei anni della sua carriera, in cui vinse in pratica
tutto); l’altro invece, l’americano McEnroe (Shia Labeouf), rissoso e irruento.
Il
film però non si focalizza sui dettagli tecnici del tennis, ma sulla
preparazione per quello storico torneo di Wimbledon del 1980, sul quinto titolo
consecutivo di Bjorn Borg, il quale temeva che il quinto trofeo gli sarebbe
stato usurpato dall’impavido McEnroe.
È
tutta un’attesa verso quel duello finale.
Infatti, il regista Janus Metz, che ha diretto un episodio della seconda
stagione di True Detective, ci riserva flashback d’infanzia dei due sportivi,
legandoli ai dettagli e alle fasi della preparazione; come il test delle
racchette di Borg. Un rituale che quest’ultimo era solito fare aiutato dal suo
manager e talent scout, interpretato da un grande Stellan Skarsgard. Il regista
raffigura Borg come un perfezionista, con il tallone d’Achille dell’emotività,
schivo e freddo perfino con la sua compagna. McEnroe lo ritrae reticente,
sicuro di sé, antimetodico, polemico, ma a suo modo astuto e logico nel
preparare la gara. Perché prima dei muscoli, nello sport conta la mente. La
sceneggiatura di Ronnie Sandhal ne snoda le caratteristiche caratteriali. Quei
dettagli che, nell’emozionante sequenza di quasi mezz’ora della finale,
contribuirono a decretarne il vincitore.
Non
è certo una pellicola che rimarrà nella storia, ma comunque degna d’attenzione,
in cui traspaiono la morale del “gioco corretto” e la resistenza psicologica
come armi per raggiungere la vittoria.
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