Luke
Skywalker (Mark Hamill) lo abbiamo lasciato in cima a un faraglione, ne Il Risveglio della Forza (2015) e lo
abbiamo ritrovato nello stesso posto nell’ottavo capitolo di Guerre Stellari, Gli Ultimi Jedi. Non è certo per
mancanza d’idee, ma per legittimare il personaggio chiave di questa saga, da Star Wars episodio IV (1977) diretto
all’epoca da George Lucas. In questo capitolo VIII c’è tanto revisionismo
narrativo: il regista Rian Johnson ci mette azione e intuizioni pirotecniche
nello spazio, e questo è un bene, tornando poi drammaturgicamente a quei legami
intrafamiliari di episodio VI, Il Ritorno
dello Jedi, con le interpolazioni che ci sono tra il lato oscuro e il lato
chiaro della Forza.
Senza
dilungarci, Gli Ultimi Jedi rispetta
alla perfezione gli stilemi della saga, uno dei franchising economicamente più
redditizi di tutti i tempi. I totem di fabbrica sono visibili già nei dettagli:
le scritte a scorrimento in apertura nello spazio, le divise nazistoidi delle
guardie dell’Impero, le note di John Williams e le spade laser multicolore (o lightsaber). La pellicola è interamente
dedicata a Carrie Fisher oramai ex-principessa Leila, qui nelle vesti di Generale
Leila, nella sua performance finale. Luc Skywalker invece ha raggiunto l’Illuminazione
e diventa, in questo capitolo, alter ego di Obi-Wan Kenobi (Alec Guinness nella
Trilogia Originale ed Ewan McGregor nella Trilogia Prequel). Non è un caso che sia
dato un significato profondo all’aspetto spirituale dei Jedi e degli aspiranti
Jedi poi passati all’altra sponda, come Kylo Ren. Ci sono comunque interessanti
snodi narrativi, ma anche lungaggini evitabili per intrattenere la platea. La
Resistenza è quasi decimata e intrappolata; questo dà manforte all’impavido Poe
Dameron (Oscar Isaac) e al disertore dei “cattivi” Finn (John Boyega) di
credere ancora che una via d’uscita sia possibile. Colpi di scena ce ne sono: fulminante
quella nella quale si determineranno le sorti di tre personaggi, il Leader Supremo
Snoke (Andy Serkis), Rey l’orfana ribelle (Daisy Ridley) e Kylo Ren (Adam
Driver). Quest’ultimo evidenzia il vero tormento, forse uno dei personaggi più affascinanti
del film in questione; la faccia di Adam Driver trasuda furia da tutti i pori,
reo del parricidio in episodio VII.
Due
ore e mezzo, a tratti faticosi, in cui non mancano divertissement e riflessioni con la realtà attuale, con la storia, che
solo questa saga sa dare da quarant’anni a questa parte.
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