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Ready Player One: il videogioco come forma d'arte


Ready Player One è un rimando all’infanzia degli anni ’70 e ’80. È una mescolanza di generi (azione, fantascienza, avventura, fantasy, gaming, commedia e pop); è basato sul romanzo Player One di Ernest Cline, che unisce la cultura di massa con i videogiochi. Ready Player One è un film condizionato dall’elemento visivo. Il cospicuo uso della grafica digitale che la “Spielberg major” ne fa, obbliga lo spettatore a vivere l’esperienza cinematografica.

Siamo nel 2045 il mondo versa nella povertà e nella sovrappopolazione, la gente vive in baraccopoli mastodontiche, sviluppate in altezza; ecco che le persone, invece di interessarsi delle loro misere vite, preferiscono “fuggire” nel virtuale. Indossano casco e tuta VR ed entrano in O A S I S. Massiccio gioco virtuale cloud nato dall’idea di un visionario di nome James Halliday (Mark Rylance). 
Tutto ciò che conosciamo e facciamo, prende forma in O A S I S. Tutto!

L’eroe che lotterà per scoprire l’easter egg e vincere il gioco è il giovanissimo Wade Watts (Tye Sheridan), che in O A S I S tutti conoscono col nome di Parzival (come il Parsifal del Santo Graal). Attenzione al giovane Sheridan perché somiglia nel modo di recitare molto a Harrison Ford, forse il suo erede. 
Ready Player One è una valanga di riferimenti alla cultura pop ’70 e ‘80.
Il videogioco diventa per Spielberg la chiave (l’easter egg) per entrare nelle coscienze delle nuove generazioni e spiegare loro che la vita va oltre lo schermo. Il giovane d’oggi deve seguire l’insegnamento cavalleresco del Parsifal di Wolfram von Eschenbach, andando alla ricerca della sua umanità, della sua intimità e non vagare nel fittizio (virtuale).
È comunque una produzione imponente, un blockbuster, non il migliore di Spielberg, che usa la realtà aumentata per divertirci e farci riflettere anche su ciò che dovremmo essere.


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