Loro 1 è un’opera cinematografica atipica. Paolo Sorrentino, premio Oscar per La Grande Bellezza (2013) catapulta lo spettatore in un’esplorazione antropologica, sempre con il suo stile inconfondibile e volando alto, tra le vite infelici di tutti quei ceffi che desideravano incontrare Lui (B.), appunto Loro. Il protagonista è la massa di gente equivoca che gravita attorno al pianeta B. Definirlo film è riduttivo, piuttosto è un frantume di un unico film che si completa con Loro 2, da oggi nelle sale.
Loro 1 parla di un logos che è andato dissolvendosi: il berlusconismo. E lo fa senza prendere delle posizioni pro o contro Berlusconi, com’è annunciato nell’esergo: “Tutto documentato. Tutto arbitrario”.
La regia di Sorrentino è tangibile dalla simmetria delle inquadrature, supportate dalla fotografia di Bigazzi, dai dolly e dai guizzi estemporanei di taluni personaggi o cose. Il regista napoletano a volte calca la mano sui dettagli estetici sforando nel pubblicitario. Lui si vede in scena ben oltre la metà del film; una scelta narrativa azzeccata per aiutare lo spettatore a non stancarsi della figura di B. Un Toni Servillo truccatissimo che ci offre un’interpretazione molto buffonesca del Cavaliere, tipica del teatro napoletano. Se ne Il Divo (2008) i fatti politici stavano al giornalismo, qui stanno in tutt’altra dimensione: nel sentimento. Attraverso il verosimile si racconta un mondo che non c’è più; un arrivista bramoso di notorietà (Riccardo Scamarcio), una velina scalatrice sociale (Kasia Smutniak), un politico lacchè (Fabrizio Bentivoglio). Sarebbe sbagliato appioppare ai personaggi riferimenti di persone reali, perché sono tutte figure che sprigionano un eclettismo visionario, quindi lontani dal reale. Una fiaba grottesca sul potere e sulla decadenza culturale, sul Berlusconi uomo e sul doloroso rapporto con l’ex-moglie Veronica Lario.
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