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Loro 2: tra potere e vuoto esistenziale

Se di seconda parte si può parlare, Loro 2 è misurato e “brilla” meno di fluidità rispetto a Loro 1. Il gradiente di espressività in questo prolungamento è massiccio. Si nota un manierismo e una presenza maggiore della regia; soprattutto nello storpiare certi luoghi comuni, richiamando il fuoriclasse Toni Servillo ad un monologo in cui Berlusconi vende al telefono, prendendo un numero a caso dall’elenco telefonico. Scena questa in cui B. pare più napoletano che milanese. Oppure il dŭplus tra Ennio Doris (sempre interpretato da Servillo) e Silvio mentre mangiano a tavola, che sembra tutt’altro che realistico e simile a una scenetta comica da varietà televisivo.
Però sembrerebbe esserci più prosa in Loro 2. Se nel primo la figura di Silvio Berlusconi era marginale, qui è onnipresente. Sorrentino ci mostra il Cavaliere uomo con le sue passioni e debolezze, con la sua solitudine da venditore. Il suo vizio, o al più vezzo, infatti è vendere e indurre i politici a vendersi. Per il resto ci sono solo degli accenni alle sue feste-harem in cui traspaiono la compassione del personaggio e nient’altro.
Loro 2 è un calembour cinematografico che ci spiega come il potere sempre alimenti l’individuo, il singolo, portandolo prima alla felicità e poi alla distruzione di sé (il divorzio tra Veronica e Silvio per esempio). È difficile che l’esercizio del potere si occupi degli altri (quindi di Loro), ai quali non resta che cercare la pietas salvifica.


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