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Il Campione, la recensione

Corre fama che forse Roma sia stata fondata da Christian Ferro e non da Romolo e Remo. Christian Ferro (Andrea Carpenzano) è una giovanissima leva dell'AS Roma; è talentuoso, con doti tecniche da fenomeno, ma con un carattere come le fasi lunari. La società sportiva sa bene che Ferro è una risorsa fondamentale per la causa scudetto, ma le coglionerie che semina sul campo da gioco (tipo le "cassanate" di giallorossa memoria) infastidiscono il Presidente Tito (un Massimo Popolizio dal portamento fascista). Questi esasperato, dopo continui richiami, pensa d'assegnargli un educatore personale, per metterlo in sesto e aiutarlo a gestire le esplosioni di rabbia. Il precettore in questione si chiama Valerio (Stefano Accorsi); un professore di lettere e storia, poco disinvolto e solitario, in sostanza l'opposto di Ferro. 
Il Campione, opera prima del regista Leonardo D'Agostini, è la parabola della "correzione". La sceneggiatura è stata scritta a più mani da Antonella Lattanzi, Giulia Louise e dallo stesso regista. 
A fare da sfondo a una storia di contrasti e di amicizia, c'è l'universo-calcio. 
Il Campione ha una forma che ricorda quasi un manga; ma c'è anche tanto cinema di Sorrentino, di Todd Phillips: bolidi che sfrecciano veloci come il vento (non certo prerogativa del cinema italiano), gnocche danzanti e ville stravaganti con piscine in stile Beverly Hills. 
È un prodotto ben girato, in cui non mancano battute di spirito (che funzionano!) e fenditure da commedia. 
Frutto anche dei due produttori, nonché registi che guardano al tempo presente con uno stile innovativo, Mattevo Rovere e Sydney Sibilia. 
Stefano Accorsi, nei panni del prof. iellato con barba folta, vorrebbe rievocare lo Sean Maguire (Robin Williams) di Will Hunting - Genio ribelle, però riesce comunque a coinvolgere lo spettatore, senza deragliare. Invece ad Andrea Carpenzano gli riesce naturale interpretare ruoli da bullo, come fu per Tutto quello che vuoi al fianco del "poeta" Montaldo. 
Se da un lato il film tenda a innalzare la funzione educativa come salvifica, dall'altro, riesce comunque a intrattenere, grazie ad un "girato" e un montaggio ritmati, fuori dai canoni classici del cinema italiano.

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