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Il giorno più bello del mondo: tra favola e comicità mancata

Un mal ridotto gestore di un teatro in disuso, Arturo Meraviglia (Alessandro Siani), è impedito nel realizzare il sogno del compianto papà, che fu teatrante d'avanspettacolo. Improvvisamente, dall'America, arriva la chiamata per un'eredità (farlocca) di un vecchio zio ed Arturo si ritrova a fare il tutore di una coppia di bambini: una sorella maggiore e il suo fratellino. Quest'ultimo è per giunta telecinetico: sposta le cose col pensiero.

L'intento del Siani regista è chiaro: non prendersi sul serio. Va detto che, in quanto "comico analogico" Siani rende di più; da "comico in celluloide", invece, un po' meno e si vede dalle battute che ci propina ("io non vedo un euro da quando è uscita la lira"; una tipa starnutisce e lui fa: "Influencer?"; "io non sono vegano, sono negano: nel senso che prima mangio e poi nego").

Purtroppo il grande schermo richiede, per l'attore di commedia all'italiana, una fisicità goffa e una sensibilità cinica e dissacrante, che Siani non ha. Va dato però atto che Il giorno più bello del mondo (2019) mitiga la tristezza e porta lo spettatore in quella dimensione chiamata "svago". Si sa, fare cinema è anche saper intercettare un target di riferimento e Siani, in questo caso, ha puntato sulle famiglie.

Strutturalmente è un prodotto accettabile in cui si dà spazio alla CGI e ad un montaggio in stile disneyano, però si gioca anche (per esigenze di budget) sulla iper-retorica del Natale, su un repertorio battutistico e su un favolistico da prima elementare. Ma anche questo è cinema e Siani si conferma, comunque, un registattore di stagione. 

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