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Le Mans 66 - La grande sfida, un'apologia di coraggio

Dicono che i film sullo sport funzionino quando raccontano al pubblico una storia vera. Christian Bale torna di nuovo a girare per James Mangold dopo Quel Treno per Yuma (2007). Questa volta nei panni del pilota/meccanico e un po' "beatnik", Ken Miles. A spalleggiarlo un altro attore di serie A: Matt Damon, il quale interpreta l'oramai congedato pilota Carroll Shelby.

Dopo aver vissuto quest'esperienza cinematografica, si pensa a quanto sia difficile girare una storia del genere per il grande schermo, perché è una vicenda di macchine da corsa, di una rivalità in fin dei conti mai placata, tra due colossi delle quattro ruote: la Ford VS la Ferrari. Per giunta in uno scenario ostile: il maledettissimo circuito automobilistico di Le Mans; già teatro di Le 24 ore di Le Mans (1971) con Steve McQueen, che fu un fiasco pazzesco all'epoca, ma che a distanza di tempo è diventato un cult per gli amanti del genere e per gli appassionati di automobilismo. Ciò potrebbe far storcere il naso, dato il tema, che sia un prodotto per maschi alfa, invece è per un pubblico eterogeneo. Le Mans 66 - La grande sfida di James Mangold è un motore a 360 cavalli di coinvolgimento puro, nonostante la sceneggiatura lineare e la durata di oltre 150 minuti. La bravura di Mangold (e di tutto lo staff, in particolare del direttore della fotografia, il greco Phedon Papamichael) è stata nel dividere in maniera cartesiana i fatti sportivi dalle vicende interiori dei personaggi e con essi le evoluzioni delle due macchine in gara.


Carroll Shelby, incaricato come capo della scuderia e designer da Ford, sceglie come driver l'amico Ken Miles; una scelta che spiazza gli amministratori delegati di Ford. Così i due compagni devono sopportare le resistenze aziendali, sfidare la natura e i loro demoni per poter dar vita ad un abitacolo da corsa rivoluzionario per Ford e sfidare a denti stretti la Ferrari del nostro Enzo (nel film un credibile Remo Girone) alla 24 Ore di Le Mans del 1966.
Un'apologia di coraggio: un'opera sui limiti umani con un alto gradiente di emotività. Poi, che dire, dell'alchimia tra Bale e Damon, una coppia esatta; un po' come la panna sulla cioccolata calda. Matt Damon è deciso, disinvolto. Bale è intenso, ribelle e poetico. Ha lavorato sul fisico Bale, è magro e ossuto, perennemente sporco di grasso industriale, capace di trasmettere la passione per la corsa, per la meccanica; sentiamo, percepiamo l'odore di carburante e le paraffine della carrozzeria. Un Bale quotato all'Oscar. Lo stesso si direbbe per la regia di Mangold, pulita e vintage con quello stile che ricorda John Frankenheimer e Michael Mann.

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