Due soldati hanno ricevuto l'ordine di consegnare un messaggio indifferibile: recarsi in prima linea (in una lontana trincea) per annullare un'offensiva, che potrebbe nascondere una trappola. I caporali Scofield (George McKay) e Blake (Dran Charles Chapman) devono bucare il territorio nemico, come ratti a cielo aperto che scorrazzano sui caduti, e farlo in modo felpato e svelto, altrimenti, sull'altro vallame, migliaia di britannici moriranno assieme al fratello maggiore di Blake.
La sceneggiatura di 1917 (2019), firmata da Krysty Wilson-Cairns e dal regista Sam Mendes, è inconsistente, perché si tratta di un segmento narrativo: si parte da un punto A e si arriva ad un punto B; il film è nel mezzo ed è fatto di fuga, paura, morte e sopravvivenza. La regia di Sam Mendes è comunque dominante, corporea, resa ancor più reale da un piano sequenza totalizzante, che vitalizza l'efferate conseguenze del 1° Conflitto Mondiale, senza ambizioni narrative, che, dato il genere, sarebbe stato opportuno quantomeno affinarne gli aspetti geo-politici.
La fotografia di Roger Deakins spaglia dallo schermo e lo spettatore vi resta abbarbicato alla seggiola, entrando nel meccanismo, provando l'orrore della Guerra, percependone i rumori e gli odori.
E' un'opera nella quale la tecnica s'impone tiranna e diremmo a buon diritto! Spiace ammetterlo, ma questo film di Mendes è manierismo puro, che prende spunti visivi un po' da Orizzonti di Gloria, un po' da Salvate il Soldato Ryan e da '71 (film indipendente di Yann Demange del 2014).
Mendes disegna la disumanizzazione del soldato che fugge dalla morte, che scappa dall'inferno della codardia; perché come chiosò Machiavelli "il soldato, se vuole ricavare qualche profitto, è obbligato ad essere falso, avido e crudele".
La sceneggiatura di 1917 (2019), firmata da Krysty Wilson-Cairns e dal regista Sam Mendes, è inconsistente, perché si tratta di un segmento narrativo: si parte da un punto A e si arriva ad un punto B; il film è nel mezzo ed è fatto di fuga, paura, morte e sopravvivenza. La regia di Sam Mendes è comunque dominante, corporea, resa ancor più reale da un piano sequenza totalizzante, che vitalizza l'efferate conseguenze del 1° Conflitto Mondiale, senza ambizioni narrative, che, dato il genere, sarebbe stato opportuno quantomeno affinarne gli aspetti geo-politici.
La fotografia di Roger Deakins spaglia dallo schermo e lo spettatore vi resta abbarbicato alla seggiola, entrando nel meccanismo, provando l'orrore della Guerra, percependone i rumori e gli odori.
E' un'opera nella quale la tecnica s'impone tiranna e diremmo a buon diritto! Spiace ammetterlo, ma questo film di Mendes è manierismo puro, che prende spunti visivi un po' da Orizzonti di Gloria, un po' da Salvate il Soldato Ryan e da '71 (film indipendente di Yann Demange del 2014).
Mendes disegna la disumanizzazione del soldato che fugge dalla morte, che scappa dall'inferno della codardia; perché come chiosò Machiavelli "il soldato, se vuole ricavare qualche profitto, è obbligato ad essere falso, avido e crudele".
1917 ha il pregio di essere un gioiello di tecnica, solo questo. E' un decalogo per aspiranti cameraman, perché si tratta di un inseguimento cinematografico in cui la camera segue insistentemente il soggetto e dove il tempo è il vero nemico. Parlare, indugiare, significherebbe fermarsi e chi si ferma "in terra di nessuno" muore, dunque l'imperativo è: corri.
Postilla. Vincitore di tre premi Oscar: Miglior fotografia (Roger Deakins), Miglior sonoro, Miglior effetti speciali.
Commenti
Posta un commento