Il suo protagonista è un vecchietto di nome Mort (Wallace Shawn) – nome che dice tutto sul pessimismo cosmico del profilo psicologico del personaggio e dell’autore che lo ha creato – che nella vita fa lo scrittore e quindi per protocollo è paranoico, ipocondriaco ed insicuro.
Rifkin’s Festival, perché? Perché Mort si trova al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián (uno tra i più importanti festival cinematografici europei, che si svolge nella seconda metà di settembre), in compagnia dell’avvenente moglie Sue (Gina Gershon, la cui bellezza non è stata scalfita dagli anni). Infatti la belle de jour, infatuatasi del giovane regista francese Philippe (Louis Garrel), cercherà di perculare il povero Mort, che se ne starà, cornuto e mazziato, tutto il giorno a passeggiare per San Sebastián sognando ad occhi aperti le scene epocali dei film di Bergman, Buñuel , Truffaut e Fellini. Il cinema diventa l’ultimo rifugio, l’alternativa alla senilità, o ancora meglio, diventa motivo di conforto per le idiosincrasie di un vecchio che ha tanta creatività da trasmettere.
Rifkin’s Festival è uno spaccato di pensieri e abbozzi del genio newyorkese, quindi, potrebbe urtare la pazienza dei non-alleniani. Rimane, comunque, un film che parla di cinema col cinema. Un ottantenne con una creatività così merita d’essere visto e contemplato, perché fa arte con l’energia di dieci ventenni. Le sue pellicole sembrerebbero tutte uguali, ma si diversificano nei colori e negli spazi urbani, proprio come faceva un pittore post-impressionista; fa tanto anche il sodalizio con il direttore della fotografia Vittorio Storaro, che aggiunge eleganza e forma alle sue opere.
Woody Allen, nell’ultimo periodo, è solito deliziare lo spettatore con rimandi (citazioni e/o riferimenti) al cinema che lo ha formato. Il regista ha scelto (volutamente) di abusare di elucubrazioni sul cinema, che alla lunga non approdano a nulla, ma che servono per giustificare e spiegare la propria visione del mondo. Però, è pur sempre Woody Allen e questo lo rende invulnerabile a qualsiasi “eccesso artistico” che si concede.
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