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Avatar: la via dell'acqua. La recensione.

Avatar: la via dell'acqua è la nuova frontiera del cinematografo. Sembrava che questo sequel non si dovesse fare, vuoi per problemi di post-produzione, vuoi per l'impasse pandemica (tuttora in corso). Desiderato e lungamente atteso (tredici anni dal primo Avatar [2009]) è uscito il 14 dicembre; possiamo dire che ne è valsa la pena vederlo? Sì!

Avatar: la via dell'acqua è un film a sé stante per quanto concerne sia la resa filmica, sia la resa tecnologica: una rivoluzione dell'immagine. È doveroso, comunque, fare una premessa, sapendo due cose: la prima è che va visto in 3D e la seconda è che va "esplorato" in una sala da multiplex possibilmente grande e confortevole. Il regista James Cameron non è un novellino del cinema. Il cineasta, nei suoi action movies precedenti, ha sempre introdotto tecniche innovative di ripresa e soluzioni visive di là dai tempi in cui sono stati girati. Basti pensare a Terminator - Il giorno del giudizio (1991) nel quale introdusse T-1000 (Robert Patrick) cattivissimo androide di metallo liquido, capace di diventare chiunque e qualsiasi cosa.

In questo nuovo Avatar l'aspetto narrativo è semplice, potremmo dire quasi elementare. Infatti, al cineasta canadese non interessa tanto promulgare la morale della sua favola blu, ma come la sua favola blu possa essere vista e possa evolversi visivamente negli anni a venire. Da qui la scelta di girare interamente in HFR (High Frame Rate), aumentandone il realismo della CGI. 

Jake (Sam Worthington) e la moglie Neytiri (Zoe Saldana), adesso rispettivamente padre e madre di quattro figli, dovranno affrontare nuovamente la minaccia umana. I terrestri continuano ad attaccare il pianeta Pandora per estrarre risorse naturali dalla flora e dalla fauna con l'unico metodo che conoscono: mettere tutto a ferro e fuoco. Così Jake Sully, per il bene della sua prole, cerca la via della migrazione: cerca la via dell'acqua. Fugge con la sua famiglia nell'emisfero acquatico del pianeta.

Cameron e la squadra della Weta Filmography ricreano, quasi più del 70% del girato, un immaginario acquatico, subacqueo di flora e fauna marina sconvolgenti. Per la costruzione di mondi è difficile trovare registi che lo eguaglino. Potrebbero tenergli testa Spielberg, Jackson, Del Toro e Villenueve.

La grandezza di Avatar: la via dell'acqua sta nell'alimentarsi di ritmi sinusoidali, dove calma e adrenalina s'intervallano. Il montaggio sonoro è sbalorditivo perché aderisce alla realtà ricreata.

Avatar: la via dell'acqua non è intrattenimento stantìo, ma è un "nuovo scrutare", nel quale il virtuale si chiarifica come corpo. Ai semiologi, dunque, la prossima ardua sentenza? Per ora, grazie mille caro vecchio James. 

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